Fontecchio-Rovere
Monte Sirente
30 maggio
Diario di viaggio
Fa troppo freddo per fare colazione sulla bella terrazza della casa baronale. Ci consoliamo con la sala affrescata. Oggi ci aspetta (sarebbe meglio dire ci spetta…) un'altra tappa lunga, con diverse risalite, che ci porterà fino all'Altopiano delle Rocche, uno dei posti più freddi d'Italia. Secondo me è la seconda tappa più bella, dopo quella di Campo Imperatore, con diverse zone d'interesse: il ponte medievale sull'Aterno, la mulattiera storica, il paese estivo, i prati del Sirente ai piedi dell'imponente parete, la foresta dell'Anatella, la più bella faggeta di questo viaggio.
Dopo aver gironzolato un po' per il borgo (molto bella la fontana con la vicina edicola affrescata), passiamo per “Porta a Piedi”, la porta del paese in direzione del fiume Aterno. La vecchia mulattiera è stata in buona parte ricoperta di cemento. Poco prima del fiume si incontra una chiesa in rovina, costruita su un preesistente edificio romano, ben riconoscibile guardando sul lato esposto a valle. Di lì scendiamo al ponte medievale, che qui chiamano romano, un ponte di pietra ad arcate multiple.
Per questo ponte passa il percorso che univa il paese invernale con quello estivo: gli abitanti legati all'agricoltura e alla pastorizia, infatti, d'estate si trasferivano su un altopiano adibito a pascolo e coltivazioni. Qui avevano costruito delle casette, dette pagliare, per avere un minimo di comodità durante la lontananza da casa. Ad unire i due paesi c'è una mulattiera molto bella, lastricata e bordata da file di pietre o muri a secco, che risale con tornanti regolari il pendio boscoso fino all'altopiano. È abbastanza ben conservata.
Oggi l'altopiano è stato riconquistato dal bosco, ma le Pagliare, raggiunte anche da una carrozzabile, sono state recuperate come casette per l'estate. Qui la vita è rustica, perché non arriva nemmeno la luce elettrica, anche se qualche casa ha i pannelli solari. Ogni borgo aveva le sue: dopo quelle di Fontecchio passiamo per quelle di Tione, che sono in una posizione molto favorevole, su un dosso tra due conche e affacciate sulla parete dolomitica del Sirente.
Per arrivare alla mulattiera dal ponte bisogna superare la ferrovia, che non è una cosa banale: infatti il passaggio a livello pedonale è stato chiuso, per cui tocca costeggiarla per un bel tratto. Una cosa un po' assurda, visto l'esiguo traffico rimasto sulla linea. Alla fine si trova un sottopassaggio che il fango ha invaso, fino a renderlo così basso che bisogna camminare piegati in due per non tirare delle zuccate sul soffitto. L'alternativa sarebbe un lungo giro fino alla stazione.
La giornata è solatia e un po' afosa, mentre noi percorriamo la mulattiera con ritmo frizzante. Una croce segnala il termine della salita e l'accesso all'altopiano. Ci concediamo una pausa e poi l'accompagnatore, seguendo ciecamente il GPS, ci porta in un intricato giro nel bosco, dove perdo del tutto l'orientamento, al punto da convincermi di aver girato in tondo. Arriviamo infine alle Pagliare di Fontecchio, curate ma deserte. Scendiamo in una conca calda e solatia e ne risaliamo il bordo opposto, fino alle Pagliare di Tione.
Arriviamo dal lato in cui c'è un enorme pozzo in una grande dolina, mentre il grosso delle costruzioni è su un dosso erboso. Oltre c'è una conca seguita da un ulteriore dosso boscoso, che dobbiamo superare per scendere ai prati del Sirente. Ci sono dei rubinetti, ma sono secchi. Oggi ci toccherà cavarcela senza fare rifornimento d'acqua, anche se tra qualche ora sarà l'ultimo dei problemi. Mentre pranziamo, giungono due tedeschi con gli asini, che hanno affittato da una signora sempre tedesca che abita qui nella zona. Scendono a Fontecchio.
Non restiamo fermi a lungo, perché nel pomeriggio sono previsti temporali e l'accompagnatore vuole superare prima un tratto critico. Già dopo mezzogiorno il cielo si fa cupo, ma per ora ce la caviamo con poche gocce. Dobbiamo percorrere un tratto della mulattiera che porta verso l'altopiano delle Rocche. Negli anni scorsi era infrascata, mentre stavolta è ripulita e sommariamente segnata con dei bolli rossi. Ad un certo punto, ad un bivio, c'è anche una traccia più bassa che sembra procedere verso i Prati del Sirente, ma l'accompagnatore preferisce restare su quella nota che va verso l'altopiano delle Rocche. Confluiamo infine su una strada diretta a Rocca di Mezzo, la attraversiamo e procediamo nel bosco. Inizialmente sembra che seguiamo un'esile traccia, ma poi siamo completamente fuori sentiero. Attraversiamo una bella zona di massi coperti di muschio. Confluiamo infine su una pista, dove a sorpresa ricompaiono i bolli rossi. Che il sentiero segnalato arrivasse fin qui, solo passando più in basso? Bisognerebbe venire a fare un'esplorativa.
Sempre sullo stesso tracciato dei bolli rossi, lasciamo la pista a prendiamo un sentiero che sale deciso e va a valicare una dorsale, per poi scendere verso i Prati del Sirente. Molto bella questa distesa, dove pascolano mucche e cavalli. Nel bel mezzo c'è un laghetto circondato da un dosso più alto del resto del piano. Questa forma ha portato il geologo Jens Ormö ad ipotizzare che la concavità fosse dovuta a un impatto di un bolide, frantumatosi durante l'ingresso in atmosfera (questo perché in zona ci sono altre concavità più piccole, senza bordo). Inoltre il materiale organico del bordo ha un'età superiore a quella del piano, segno che viene dall'interno della concavità. Datandolo, ha dedotto che l'impatto sia avvenuto all'inizio del V secolo d.C.. Tuttavia, una successiva analisi geochimica ha mostrato che la composizione dei sedimenti è del tutto analoga a quella della zona e ben diversa da quella dei crateri da impatto noti.
Il gruppo di Ormö aveva poi pubblicato un articolo su una rivista umanistica, nel quale ipotizzava che l'evento avesse lasciato il segno nella forma di una leggenda legata alla fondazione della vicina abbzia di Bominaco. Per ragioni insondabili, si è diffusa la storia secondo cui questo meteorite sarebbe stato visto dall'imperatore Costantino prima della battaglia decisiva contro Massenzio e interpretato come una croce: si tratta della famosa visione citata da Eusebio nella sua Vita di Costantino. In rete oggi si trovano molti riferimenti a quel collegamento, che compare pure nella guida CAI della zona. Ma è del tutto insensato, perché il gruppo pone chiaramente la caduta del meteorite un secolo dopo la battaglia. Ma chi vuole credere non si fa spaventare dai fatti.
Il cielo intanto si fa nero. Facciamo appena in tempo ad attraversare il prato, risalire il pendio opposto fino alla pista che porta a Rovere, che si scatena un violento temporale con grandine. Meno male che la copertura dei faggi attenua almeno l'impatto con i chicchi di ghiaccio. Il temporale proseguirà intenso e incessante fin quasi a Rovere, per quasi tre ore, come se ci stesse inseguendo. Fa pure un freddo becco e non c'è nessun posto dove ripararci. Appena partiti incontriamo un gruppo di operai forestali al riparo nel loro fuoristrada, che ci guardano straniti. Ci offrono un posto, ma siamo troppi. Da qualche giorno un mio scarpone si è bucato sulla tomaia, ma i torrenti che solcano la pista sono così copiosi che è l'altro piede che sento per primo fare sciaf sciaf. Alla sera la carta da giornale e i termosifoni non basteranno a spremerne fuori l'umidità: solo l'ultimo giorno di viaggio, dopo cinque ore di sole, torneranno asciutti.
Che disdetta, dunque! La pioggia forte è l'unico cattivo tempo di cui non riesco a essere amico. Resto incantato a guardare i fulmini, la neve, la nebbia invisibile. A sentire i tuoni e il fischio del vento. Invece ora mi chiudo nel cappuccio, mi isolo, non riesco quasi a guardarmi intorno, ma fisso solo i miei piedi col timore di metterli a mollo nei torrenti che mi contendono lo spazio della strada. Non mi fido a estrarre la macchina fotografica.
Attraversiamo allora la foresta dell'Anatella, la faggeta più bella vista finora, tutti chiusi a tremare nei nostri gusci, sotto i nostri ombrelli, nelle nostre mantelle a sperare invano che cessi o che almeno le nostre protezioni tengano quanto basta. La foresta così ce la perdiamo quasi. Sembra il perfetto bosco delle streghe, manca solo la nebbia autunnale. Anche se, per la verità, ogni tanto piove così fitto che gli alberi più lontani sono immersi nella nebbiolina delle gocce, che formano come un muro d'acqua. Solo una foto, uno scatto di corsa, in un luogo a caso, in un attimo in cui cala brevemente.
Usciamo dalla foresta nei pressi di un recinto faunistico. Lo costeggiamo fino in fondo e poi prendiamo un pista che si diparte dalla sua parte alta. Nei pressi un grosso branco di cinghiali con i cuccioli se ne sta beato sotto la pioggia, poco distante. Meno male che non dobbiamo passarci in mezzo. Metto e tolgo il cappuccio varie volte: sembra che debba smettere, ma poi riprende a piovere. Siamo ormai in vista dell'altopiano delle Rocche, nel pieno dell'Abruzzo sciistico per romani. Per fortuna Rovere è ai margini di questa zona ed è stato risparmiato, ma domani a Ovindoli ci toccherà tutta la tristezza di una deserta stazione sciistica.
L'asfalto e il Cristo sulla rocca anticipano il paese, che sorge proprio dove la lunga cresta del Sirente tocca l'altopiano. È uno dei posti più freddi d'Italia, dove durante le inversioni termiche invernali si scende anche a -25°C, come ci comunica orgogliosa la proprietaria del ristorante tipico dove ceniamo. Anche questa sera, che per lei è mite, è per noi la più fredda del viaggio: saremo a pochi gradi sopra lo zero. Il lato positivo sono i termosifoni a tutto spiano, anche se è quasi giugno, che ci consentono di asciugare almeno le mantelle, i coprizaini e le calze.
Bibliografia
ORMÖ ET AL. (2002) The Sirente crater field, Italy. Meteoritics & Planetary Science 37, 1507-1521
SPERANZA ET AL. (2004) An anthropogenic origin of the “Sirente crater,” Abruzzi, Italy Meteoritics & Planetary Science 39, Nr 4, 635–649
SANTILLI, R., ET AL. (2003). A catastrophe remembered: a meteorite impact of the fifth century AD in the Abruzzo, central Italy. Antiquity, 77(296), 313-320.
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Sergio Chiappino
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