Cala Sisine-Golgo
Supramonte di Baunei
15 aprile
Diario di viaggio
Stavolta al mattino non mi alzo tanto presto, perché oggi più che l'aurora sul mare mi interessa ammirare il momento in cui il sole rosso illumina le falesie sopra la spiaggia creando un contrasto con i boschi verdi. Così alle 7 passate vado in spiaggia a godermi questo istante. Il mare, come spesso al mattino, è placido e senza onde. Il cielo all'orizzonte è di un arancio carico, le pietre bianche sulla spiaggia sono mezze di soffice arancio e mezze blu. Lo spettacolo desiderato stavolta si presenta, ed è fantastico.
La mattina è anche allietata dalla visita di una volpe. Scende al ristorante probabilmente alla ricerca di qualche avanzo. Gira un po' nella semioscurità tra gli alberi, poi mi fa la cortesia di fermarsi una decina di secondi in uno spazio aperto sufficientemente luminoso, in modo che possa fotografarla mentre mi fissa non se incuriuosita o spaventata.
La giornata di oggi è dedicata alla risalita della codula Sisine, dal mare sino al Golgo, l'altopiano da cui nasce il torrente che l'ha scavata. Le codule sono valli incise nell'altopiano calcareo da torrenti che sono secchi la maggior parte dell'anno, ma diventano impetuosi durante le piogge. Sul fondo c'è il letto piatto del torrente, sui ripidi fianchi boschi di leccio su cui sono sospese delle pareti verticali, bianche, grigie e arancio. Lungo il torrente si sviluppa di solito una foresta a galleria di oleandri, che da maggio a settembre ingentiliscono l'ambiente con i loro fiori rosa. Purtroppo questo non è il caso della codula Sisine, perché una violenta alluvione nel novembre 2008 ha letteralmente ripulito il fondovalle di ogni forma di vegetazione, e ha accumulato sulla spiaggia montagne di tronchi strappati dalla furia delle acque. Ora i tronchi sono stati portati via, ma è stato necessario costruire una strada che arriva fino alla spiaggia. Successivamente è stata chiusa, ma intanto è rimasto il tracciato a rendere meno bello il posto. Speriamo che alla prossima piena scompaia.
Il primo tratto della codula e ombroso e fresco, ma poi il sole si alza e comincia a picchiare e a riverberarsi sui ciottoli bianchi. Intorno a noi, sulle pareti, si vedono imponenti segni dell'azione erosiva dell'acqua, come una caverna scavata dai gorghi e dai massi trasportati dalla corrente. A ingentilire il paesaggio provvedono invece i ciclamini; ne vedo uno cresciuto sulla cima del tronco di un leccio.
Lasciamo il ramo principale della codula e cominiciamo a camminare lungo il letto del torrente asciutto. È davvero impressionante come, a soli due giorni dalla pioggia, non ci sia un solo filo d'acqua nel torrente; solo ai bordi del letto un terreno un po' umido ne serba il ricordo. Ai lati era presente una rete che serviva a impedire alle capre di brucare i germogli dei lecci dopo i tagli, ma l'alluvione ha spazzato via anche queste e ora non ne restano che rimasugli coricati a terra. Qui cresceva anche della profumata menta, ma anche questa è stata spazzata e oggi non ne troviamo che un esemplare.
Finalmente troviamo delle pozze di acqua fresca rimaste in un tratto in cui il torrente scorre tra bianche placche. Ne approfittiamo per rinfrescarci i piedi, con somma gioia dei cinghiali che vengono a bere questa preziosa acqua. In una fessura delle placche è cresciuto un giglio pancrazio.
Ad un certo punto incrociamo un sentiero non segnato (l'avreste mai detto?) che sale a sinistra nella lecceta, tra alberi monumentali e profumi. Trovo anche la miglior inquadratura ai ciclamini di tutto il trek. Dopo una breve e ripida salita, arriviamo in un piccolo ripiano ombroso con tanti massi ricoperti di muschio, dove mangiamo.
Poco dopo sbuchiamo su una stradina che corre in piano. Siamo arrivati all'altopiano del Golgo. Si tratta di un altopiano argilloso e fertile, dove fino agli anni ‘70 si coltivava il grano. Questi altopiani erano la maggior ricchezza del Supramonte e nel passato erano aspramente contesi tra le varie comunità, anche con feroci scontri armati che costarono la vita a non pochi. Oggi non si coltiva più, ma si allevano molti animali bradi: incontriamo mucche un po' scheletriche, naturalmente capre, molti porceddu e alcuni asinelli. I colori sono vivi: la terra è rossiccia, il verde degli alberi e dei prati è magico, il cielo è di un azzurro intenso.
Incontriamo alberi molto belli: un leccio monumentale e tanti peri. Una deviazione su una traccia ci porta alla chiesetta di San Pietro del Golgo. Si tratta di una chiesetta in pietra con la facciata bianca che ricorda quelle dei pueblo fotografate da Ansel Adams o che si vedono nei film western. Si trova di fonte a una grande spianata erbosa sui cui margini crescono alcuni alberi monumentali: uno spaccasassi e diversi olivastri, tra cui uno in particolare dalla chioma imponente.
Riprendiamo la stradina e passiamo davanti a un pozzo, una delle due fonti d'acqua del Golgo e arriviamo al rifugio. Poi c'è ancora il tempo di un'escursione al nuraghe Alvo, i resti di un grande nuraghe. Durante il ritorno usufruiamo di una scala costruita in legno di ginepro. Queste scale sono una caratteristica della zona; servivano per accedere a zone altrimenti irraggiungibili. Si usava il legno di ginepro perché quasi incorruttibile, come dimostrano i molti ginepri morti visibili in giro per il Supramonte.
A cena ho la fortuna di sedermi accanto a Salvatore, pastore e guida escursionistica di Baunei. Cerco di farmi spiegare come come mai non ci sono indicazioni in giro per i monti e mi diverto un sacco a sentire le sue giustificazioni assurde per la mancanza di segnaletica. Ad esempio, mi dice che gli ometti «ingombrano» e che «anche se metti una palina nessuno la vede». Non mettendola non si corre questo rischio, chiaramente. L'idea che mi sono fatto è che questa gente voglia avere il controllo sulle persone che attraversano casa loro, non so se per non sentirsi invasi o perché pensano di guadagnarci di più così. I miei istinti mao-sionisti mi suggerirebbero si rapirli, chiuderli in un cassone e portarli in un campo di rieducazione in Alto Adige, dove troverebbero una popolazione chiusa almeno quanto loro, ma che ha saputo accogliere anche gli odiati Italiani come turisti e vivere felice.
Mentre scrivo queste righe in un rifugio alpino, ascolto il racconto di una guida alpina sulla traversata del Lagorai, un percorso in Trentino dove in agosto non si incontra anima viva per giorni (giusto per rendere l'idea di quanto è selvaggio). È un trek senza punti di appoggio, dove spesso l'unico metodo per trovare il percorso è seguire l'azimuth o il tracciato GPS. In un luogo siffatto, in ogni colle c'è una palina con il nome del luogo. Perché i sardi non possono fare altrettanto?
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Sergio Chiappino
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