Ussolo Macra
Cappella della Madonna
10 ottobre
Diario di viaggio
Al mattino le nuvole si sono alzate quel tanto che basta, almeno fino a 1500 metri, così riusciamo a vederci intorno. Sul versante esposto a nord, di fonte a noi, in basso ci sono boschi multicolori, in alto abeti avvolti dalle nuvole; sul nostro chiazze di tutti i colori, verdi, gialle, arancio e rosse. Il programma prevederebbe di salire fino a Elva e dormire lì, ma non ne possiamo più di camminare nella nebbia, così decidiamo di tagliare corto e di andare a recuperare l'auto a Macra restando nei pressi del fondovalle.
Scendiamo per la vecchia mulattiera che univa Ussolo a Prazzo, ancora in discreto stato. Sul fondovalle passiamo sull'ubac e seguiamo una stradina che corre accanto al Maira. Finalmente si vede del panorama: i colori sono quelli accesi tipici dell'autunno, molto spettacolari. Solo una linea ad alta tensione si mette sempre in mezzo alle mie inquadrature. La nostra attenzione è catturata da una strana struttura formata da quattro pali che sorreggono un trapezio di legno, al cui interno sono fissate sbarre orizzontali di ferro. Sembra un percorso ginnico, e in effetti scopriremo più avanti che sono proprio le vestigia di un percorso di cui non resta che qualche sbiadito cartello.
Sbuchiamo sulla statale dove parte la strada per Marmora, in corrispondenza della diga. Rimaniamo per un chilometro sull'asfalto e poi prendiamo una strada senza indicazioni che sale sulla destra. Ci eleviamo e poi percorriamo un lungo traverso tra boschi e scorci su Stroppo e la chiesa di San Peyre.
Qui troviamo alla nostra destra la strada napoleonica che scende da Marmora. Poco dopo, dove la strada aggira un roccione, troviamo due camosci sulla strada. Appena ci vedono, balzano giù dalla scarpata e saettando si infilano nel bosco. Mentre giravo attorno al roccione, avevo visto della terra cadere dall'alto e allora, pensando che ci sia qualche altro animale sopra noi, avanzo lentamente senza far rumore e sollevo lo sguardo. Trovo una mamma con un cucciolo. Non appena mi vede, la madre cerca un pendio di terra poco più avanti e si lancia verso la strada, la sorpassa in un balzo e si lancia giù nel bosco, dietro il resto del gruppo. Il piccolo esita un attimo, ma poi con l'agilità di un adulto ripercorre i passi della madre e si infila anche lui tra le fronde. Riusciamo ancora ad affacciarci verso il basso per vedere l'ultimo del gruppo che ci controlla e, non appena ci vede, scompare nel folto del bosco.
Poco oltre si abbandona la strada che fa un giro lungo e si scende nel ripido bosco su un bel sentiero. In basso si riconoscono dei terrazzamenti: in una valle povera, persino questi minuscoli appezzamenti all'ombra venivano coltivati. Si risbuca quindi sulla strada: in salita si va verso Celle, in discesa a Stroppo. Il nostro programma prevede di attraversare il Maira per andare sul versante opposto, salendo a San Peyre e magari all'incantevole Santa Maria di Morinesio per poi proseguire verso Macra.
Al torrente ci imbattiamo però in un imprevisto: il ponte non c'è. Un pilone di cemento di erge solitario in mezzo al fiume, mentre mucchi di legno e metallo sulla nostra riva sono quello che rimane della struttura. Una ruspa sull'altra sponda segnala che sono in corso dei lavori. Mentre un paio di noi decide di costruirne uno nuovo seduta stante, quelli rimasti in sé studiano un percorso alternativo: salendo verso la cappella della madonna e di lì a Serremorello è possibile scendere a Macra. Ci sarebbe anche la possibilità, dalla cappella, di scendere ad un ponte di pietra, che dovrebbe essere più solido di uno di legno, ma non ci va di mettere alla prova la nostra teoria, tanto più che il sentiero che vi scende non è segnalato.
Torniamo perciò indietro lungo la strada, per abbandonarla quando troviamo il GTA per Celle di Macra. Anche qui abbiamo un disguido: al primo impluvio il sentiero è franato per alcuni metri. Mi faccio prestare una bacchetta e vado avanti lungo la scarpata, per fortuna alta solo qualche metro, con juicio, e la supero senza rovinose scivolate. Da qui in poi il sentiero è ben tracciato e ha il fondo liscio. Si rimane a lungo in un bosco misto di abeti bianchi e faggi (gli scientifici lo chiamano l'abieti-faggeta), con qualche pino qua e là. Prendendo quota il bosco si immerge nella nebbia, e percorriamo uno dei tratti più affascinanti dell'intero trek. La luce diffusa che scende dall'alto è scarsa, ma ha il colore delle foglie dorate dei faggi. Il bosco sembra non avere confini, i tronchi diritti si fanno sempre più eterei a mano a mano che lo sguardo si spinge in avanti per poi dissolversi nella nebbia. Nello stesso tempo tutto ciò che si vede è a pochi metri e ciò che è lontano sembra non esistere, anche i suoni estranei non arrivano.
Decidiamo di pranzare alla cappella, perché confidiamo di ripararci sotto un suo eventuale portico dalla pioggerella che ha incominciato a cadere. Quando siamo ormai alla sua quota, in un luogo panoramico troviamo i ruderi di qualcosa di rotondo e ci convinciamo che la cappella era quella. La disperazione si impadronisce del gruppo, che ormai pensa che le murti si siano coalizzate con i santi contro di noi. Ridiamo dalla disperazione, come ieri sera a cena. Decidiamo di proseguire fino al primo riparo, così procediamo per un traverso nel bosco sempre più buio, finché non ci troviamo davanti a una chiesetta con l'agognato portico e un'Annunciazione dipinta sulla facciata: ma allora è questa la cappella! Ci riconciliamo col mondo, indossiamo tutti gli strati e mangiamo.
Senza indugiare tanto, perché freddo e umidità sono penetranti, riprendiamo a marciare nello stesso ambiente di prima, ma più umido, perché ogni tanto cade una pioggerella. Poco oltre la chiesa troviamo indicato su un masso il sentiero per il ponte in pietra e proseguiamo diritti. Procedendo sempre in piano, attraversiamo un paio di borgate (Aramola e Maurengo) e, dopo una breve e ripida salita siamo al Colletto, dove sorge un gruppo di case con la chiesa di Sant'Anna. Qui incrociamo un gruppo di fotografi che stanno facendo una vista guidata. Hanno reflex Canikon con obiettivi economici. A uno la capogita deve spiegare la differenza tra autofocus singolo e continuo. Le premesse sono spassose e mi piacerebbe seguirli per sentire i loro discorsi, ma loro vanno verso Palent mentre noi scendiamo a Serremorello.
La borgata è piccola, ma ha molte belle case ristrutturate da poco. Subito sotto c'è la parrocchiale di Albaretto, che accanto all'ingresso ha un monumento ai caduti. Le foto dei giovani militari morti o dispersi mettono tristezza. Da qui scendiamo per un'altra ora lungo un bel sentiero, che in un tratto è tracciato su un imponente muro a secco di un paio di metri. Finiamo così sulla carrozzabile, e di lì con gli ultimi due chilometri su asfalto giungiamo a Celle, passando accanto al vecchio mulino di cui si è conservata la ruota.
A cena ci fermiamo al posto tappa GTA, che sta per chiudere la stagione, ma ci riserva ancora un merluzzo cotto all'occitana. La gestrice è una tipa in gamba, che ha lasciato il suo lavoro sicuro a Torino per venire nella sua terra natale a portare avanti un'attività in proprio. È molto espansiva e ha una personalità strabordante. Ci confessa di odiare la musica occitana, che dopo tanti anni le sembra tutta uguale e monotona. L'aveva anche raccontato per un libro che raccoglie testimonianze di gente del luogo, ma il particolare è stato omesso perché da queste parti è un gusto sconveniente. Ci racconta le sue tante iniziative passate e presenti e ci fa partecipi del suo entusiasmo e delle sue difficoltà, quasi come se fossimo vecchi amici.
Con questa opportunità conviviale si conclude il nostro giro, con un giorno di anticipo sul previsto e il rammarico di aver visto poco, ma il desiderio di tornare in questi luoghi e tra queste persone.
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Sergio Chiappino
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