Diario del Lago Piccolo di Avigliana
13 marzo 2022
«Ma non potrebbero pedalare sulla tangenziale?» Due ciclisti hanno appena messo in fuga un martin pescatore scorto tra i rami della riva. Per fortuna un cormorano è più confidente, anche se non molto collaborativo, perché aspetto invano che decolli.
p22 agosto 2021
Speriamo che il cucciolo di camoscio, visto nei pressi del capanno dei cacciatori, diventi più schivo, o quest'autunno avrà vita breve. Riesco a salire solo a passi misurati, perché l'afa mi farebbe altrimenti grondare. Di solito ci impiego mezz'ora, mentre stasera cinquanta minuti sono necessari a raggiungere la Punta d'Ancoccia da Mortera. Ieri sera ho avuto un attacco di pigrite fulminante e ho pertanto rinunciato all'escursione domenicale. Ora sto espiando, in un certo senso.
Quando scocca l'ora, la luna tarda a forare l'appicciocosa foschia: appare già alta, ma ancora rosso sangue. Il cielo è già nero, ma il chiarore della città consente di rientrare senza pila e senza ombra.
13 febbraio 2021
All'improvviso è arrivata una ventata di aria fredda e umida, che fino al mattino ha depositato uno straterello di neve e ha tenuto le temperature sottozero anche il pomeriggio. Vengo subito meno ai propositi e arrivo al lago con il normale corto, per inseguire la rara luce invernale senza un progetto, solo domandandomi se sono ispirato. Per la verità dal principio qualche rifiuto lo riprendo, come una sedia pieghevole, che l'altra volta era a riva e ora è sotto un palmo d'acqua.
Poi però mi faccio attrarre dal bosco collinare, come un giovane collega con una Fuji, venuto a provare il 16 mm, garantito resistente alle intemperie. Il bosco, che in un giorno di sole sarebbe ingestibile, con la neve e la luce diffusa rivela un'inattesa armonia.
6 febbraio 2021
Arrivo in una tiepida mattina invernale, uggiosa meno di quanto desideravo. Nonostante venga qui da tanti anni, ancora credo alle app meteorologiche, quando preannunciano foschia densa. Ho una mezza idea su come riprendere le solite scene in maniera nuova e un'insospettata disponibilità a infrascarmi. Nella semioscurità vedo volare un airone bianco maggiore da un canneto e un martin pescatore appolaiato su un ramo vicino. Quando sembra che non debba succedere null'altro, arriva una sequenza di insignificanti sciagure: la sabbia del Sahara si deposita sull'auto nuova, l'anello del diaframma del Nocticron smette di rispondere, un mese oltre la scadenza della garanzia, ma soprattutto mi trovo a calpestare la fresca cementificazione di almeno un terzo di lungolago, quello sul bordo della 589. Quest'ultima è irremediabile.
Pista ciclabile della Francigena, turismo dolce, questi sono i termini della neolingua per consumare definitivamente il suolo. Le bici passavano benissimo anche su fondo naturale, come ho visto fare un sacco di volte.
La reazione impulsiva è di rinunciare alle uscite al lago. Forse alla fine la mia inerzia e la mancanza di alternative altrettanto comode vinceranno, ma la repulsione è forte. O magari cambierà la mia percezione del genius loci: non più luce, svassi e canneti, ma autoradio e lattine accartocciate; non lenti nobili ma crude. È un'attrazione non del tutto nuova, perché già da qualche anno in montagna riprendo i tralicci, gli skylift abbandonati e i moncherini delle speculazioni edilizie fallite. Tuttavia mi serviranno tempo ed esperimenti per produrre qualcosa di buono. Intanto devo riesumare la retrospettiva di Shore, che avevo comprato ma scarsamente apprezzato, così come quella di Sascha Wiedner, che ho amato ma non assimilato. È una svolta repentina, dopo che avevo appena tracciato un bilancio dei primi dieci anni qui, ma non imprevedibile, perché se fossi stato attento qualche segno dai miei sguardi avrei dovuto coglierlo. Anche stamattina. Solo che non ancora avuto il coraggio di asscondarli fino in fondo.
I pensieri si annodano convulsi, più avvinghiati che le lenzuola in asciugatrice o i serpenti in letargo. Ho bisogno di tempo e riflessione, di tentativi e cestini capienti.
A parte questo, non mi dispiace la piega che hanno preso le mie foto odierne, in questa mezza bruma di febbraio, che ha tenuto lontani pescatori e turisti. Sono… non saprei definirle, non sono un buon critico. Prolungano una traiettoria già delineata dalle ultime sessioni e sono completamente diverse da ciò che attrarrebbe la mia attenzione al primo passaggio in un ambiente sconosciuto. Devo riuscire ad replicarle anche nelle escursioni tradizionali, dove invece peno a liberarmi dalle convenzionali immagini di mestiere. Spero che tutto ciò non si riveli un fuoco di paglia.
20 dicembre 2020
L'ultimo giorno giallo è incolore: gocce di pioggia nemmeno percettibili, nuvole piatte, foschia solo oltre l'altra sponda. Tra qualche giorno prevedono nebbia, ma i doveri mi terranno lontano, altrimenti per l'amante norrena avrei azzardato una sfida ai divieti.
Alla spiaggetta solo qualche NoTAV ciondola attorno al bar; non c'è nessun bambino a lanciare pane ai germani e nessun fotografo con il cannone immacolato a immortalarli. Poi, un po' alla volta, le nuvole si assottigliano e lasciano filtrare gente a passeggio: pescatori, famiglie con i bambini, ragazzi con il cane, mentre gli antagonisti restano a chiacchierare appoggiati al muro del bar.
21 ottobre 2020
Una commissione, posticipata all'ultimo per volontà altrui, rende il giorno di ferie svuotato e svogliato. Il cielo è bigio, la Zanzara è chiusa per desolazione e mi dedico a qualche foto senza un progetto: un pomeriggio senza sugo. Tuttavia in un giorno radioso non sarei certo venuto qui. Non solo le foto che scatto nelle giornate di sole, durante le escursioni, mi sembrano sempre più insignificanti, ma mi interessa sempre meno fotografare aurore e tramonti. Invece non mi stanco mai di immergermi nel “maltempo”, come lo chiama il cliché turistico. Detesto le ciaspole, ma camminare avvolto da una nevicata mi affascina.
La piatta superficie del lago mi attira sopra ogni cosa: non so perché, non ho mai imparato a nuotare. Non riesco a tenere la testa sott'acqua che per pochi secondi, prima di sentirmi soffocare, nonostante ogni autunno i genitori mi iscrivessero ai corsi della piscina. Mi piacciono le cose quando le tengo a distanza.
Pare che, finalmente, venerdì la nebbia avvolgerà i monti e sarà un giorno di reumi e giubilo. Almeno lo spero.
Equinozio d'autunno
È mai stata suonata una Impressioni di settembre dedicata piogge equinoziali, con un arpeggio di Mussida pizzicato come un ticchettio impercettibile? A metà pomeriggio sembra già crespuscolo, come al solstizio, e l'acqua scivola sulla pelle della terra, indurita dall'arsura.
È arduo non perdermi nei pensieri. Assaporo erba fresca tra praterie di carici.
Milly memorial day
Fotografare con un tele fisso è una sfida, perché non posso rifinire l'inquadratura e anche spostarmi può servire a poco. Devo pensare e inventare, non ho altra scelta. Per questo lo scelgo come unica lente quando sono in tumulto e ho bisogno di scatti introversi.
Dopo tanta pioggia, finalmente torno a casa con le suole infangate. Ce ne sono volute tre settimane, per ammorbidire il terreno.
Santi 2019
«Te l'ha ordinato il reumatologo di venire oggi?» «No, lo psichiatra». Appena due pescatori sono arrivati ai primi chiarori insieme a me, in questa mattina fosca e buia. Più tardi, verso le 10, incrocio altra gente a passeggio in tuta o estrarre un cavalletto dal baule, oltre a dei ciclisti che si lamentano del meteo.
Ho atteso tanto questo momento, che poi è volato via come un mulinello di sabbia nel vento. La foschia (nebbia fitta da non vedere la sponda opposta non ricordo di averne mai vista), che attendevo da molti mesi, si è dissolta in meno di un'ora, sollevandosi sul Moncuni. Arrivo a malapena ai canneti oltre la spiaggetta, dopodichè posso anche dedicarmi a tentativi di ripiego. Poco prima mi ero accorto di aver perso interesse nelle pietre e nei tronchi sulla riva della spiaggetta, fotografati troppe volte. Sono molto coperto, ma non fa un gran freddo: è solo tanto umido. Sono anche molto concentrato sulla missione, tanto che non mi accorgo di provare sensazioni o emozioni: vado dritto ai punti proficui, senza quasi guardarmi attorno.
Nonostante sia piovuto un po' di volte, il terreno è rimasto ancora duro sul sentiero né c'è molto fango. Già dal giro scorso è scomparso il ponte in legno sul rio Giacomino, che ora va guadato: operazione banale, con un rivolo d'acqua, ma dopo una pioggia intensa come due settimane fa non sarebbe un'affare tanto semplice.
25 ottobre 2019
L'unica emozione forte è un cinghiale che scatta all'improvviso dall'oscurità. Per il resto tanti esperimenti con il crepuscolo velato.
15 ottobre 2019
Non ci sono altre auto nel parcheggio, quando arrivo sotto l'ultimo scroscio. La Zanzara non ha aperto: mica è Rolando, ma un lembo di metropoli trapiantato a riva. La prima timida pioggia autunnale è scivolata sul terreno di cemento: pozzanghere cristalline e rigangoli sono gonfi già con poche gocce, a causa della terra dimentica del suo fresco sapore. Lascio orme invisibili sulle tante foglie a terra intirizzite, una poesia tracciata con l'indice sulle lenzuola. Quelle rimaste sui rami sono sfiorate da dolci carezze sul collo. Dapprima incerto e poi appagato dal rinnovato contatto con la pioggia, vago ovattato dal cappuccio e afferro l'ultima mentre si dissolve.
A metà giro le nubi si aprono e lasciano filtrare una luce tagliente come lisca, che fa esplodere i colori autunnali del bosco. Le sensazioni della pioggia di un mattino sono fluite brevi come un arrivederci: evaporano in nebbia sui prati, per svanire fino alla prossima; mi restano, ma come proiettate su uno schermo, solo quelle che ho afferrato sul nascere.
La scia di luce sul lago è abbacinante più del sole stesso. Poi le nubi si riaddensano in un lampo nero che la oscura.
A fine giro il parcheggio è affollato: è il momento di andarmene. Non c'è mai nessuno in giro nelle ore migliori, solo dei pescatori rifugiati nelle tende.
7 aprile 2019
Finalmente è caduta della pioggia, ma ha a malapena scalfito la crosta della terra rinsecchita, che nel profondo è rimasta dura. I lombrichi hanno comunque apprezzato questo regalo genovese e sono usciti allo scoperto. Erano previste deboli precipitazioni anche per la prima mattina, ma gabbando i meteorologi arriveranno a mezzogiorno: il mio arrivo alle 7.30 mi lascia perciò a secco e non mi resta allora che dedicarmi agli scatti senza tempo.
I canti degli uccelli piovono dai rami dondolando, come petali di ciliegi giapponesi. Tuttavia, quando sono assorto a fotografare la nebbiolina o le rondini a pelo d'acqua, le mie orecchie diventano sorde, come otturate da tappi di cera, o si disconnettono se preferite, e non sento più nulla. Nel sottobosco sono fioriti l'anemone dei boschi e la latrea, una pianta parassita dalla fioritura roboante. Sono poi spuntate le foglie di aglio selvatico; nonostante la pioggia appena caduta abbia dilavato ogni molecola, il suo odore si percepisce di nuovo tra gli alberi. L'aria fresca e umida trafigge il guscio con tale vigore, che mi ci vorrà qualche ora di termosifone, per smaltirne i postumi. Solo un timido uomo con gli stivali verdi e un taciturno pescatore con il cappuccio hanno osato aggirarsi qui a quest'ora.
Anche quando torno alla spiaggetta a fine giro, e sono quasi le dieci, nessuno è ancora venuto alla spiaggetta. La Zanzara non ha alcuna intenzione di aprire.
15 marzo 2019
Mancavo da un po', ma non ho perso eventi epocali dall'ultima visita. La siccità si protrae dall'autunno, non certo scalfita da un paio di spolverate di neve, e insieme con l'inedita arsura invernale, figlia del cambiamento climatico, ha continuato a fare il suo corso: prima di andare al lavoro, stamattina ho fotografato dal balcone un'onda di fiamme sulle pendici del Monte Lera. Il livello del lago è pertanto più basso che mai, il terreno è asciutto e crepato anche sotto la passerella per il fango, i quasi 3000 m dell'Orsiera sono già spogli di neve come l'anno scorso a tarda primavera. Un vento così tempestoso, da far ribaltare la borsa delle lenti appoggiata a terra, accompagnato a stratificazioni da crepuscolo fotogenico, mi ha convinto a fare un'incursione serale. Anche se indosso gli scarponi, non vado a salutare i cormorani, ma gravito intorno alla spiaggetta, trastullandomi oziosamente con il filtro grigio e le onde; produco una ragguardevole carrellata di foto da principiante con cavalletto nuovo (HDR esclusi), ovverosia da cestino. Uno svasso mi valuta innocuo, nonostante il fremente armeggiare, e continua a pescare presso la riva.
Eclissatosi il sole dietro i monti, rimango in attesa che il cielo s'infuri come le gote di un trombone, che si scaglia contro i videogiochi. Alla Zanzara prendo come merenda un tè verde con lo strudel, insieme a varia umanità da aperitivo, come me in cerca di riparo dalle folate. Solo i cani sembrano entusiasti di scorazzare all'aria aperta. Attraverso le vetrate analizzo i soggetti più promettenti: delle velature iridescenti e una gigantesca nube lenticolare a forma di Enterprise. Il posto migliore per riprenderli ambientati sarebbe il canneto lungo la 589, ma al solito prevedere mi è alieno come un outlet ed è troppo tardi per raggiungerlo in tempo, quando finalmente lo capisco. Non potendomi accostare alla riva per gli spruzzi, ripiego così sul rod pod di un pescatore, che incuriosito sbuca dalla sua tana per sbirciare il mio schermo. Per riporre in ordine l'attrezzatura a fine sessione, dovrò rifugiarmi sul lato sottovento della Zanzara.
Mi rendo conto che la stagione dei picnic è ormai arrivata e non so se passerò ancora da qui prima dell'autunno. Spero nella pioggia, ma non la vedo all'orizzonte.
2 febbraio 2019
Mi sono aggirato troppo assorto a fotografare, quasi senza badare al mondo fuori dalle inquadrature, per recepire adeguatamente il piacere di trovare il paesaggio familiare trasfigurato dal terreno innevato e dal lago gelato. Non l'assaporavo da qualche anno: la venuta accidentale e improvvisata, a mente impreparata; la gioia spontanea ed esuberante della ragazzina; l'improvvido cormorano, rimasto il solo condomino del pioppo bianco ad aggirarsi goffo, disorientato e spaurito; i germani e le folaghe accatastati alla foce del canale della torbiera; i raggi del sole smorto disegnare la mia ombra sulle candide ondulazioni rugose; i letti dei ruscelli, fangose lacerazioni della coltre uniforme di neve; lo scricchiolio dei passi ad accompagnare il silenzio; l'inattesa scarsità di gente nella giornata festiva.
24 gennaio 2019
Finalmente sul terreno rinsecchito si è posato un velo di neve, persino più consistente di quanto lasciassero presagire le previsioni. Uscito dalle coperte senza fretta, ho guidato contromano alle ininterrotte colonne di automobili dirette in città. Arrivo giusto in tempo per il tramonto lunare dietro l'Orsiera. Sono stato preceduto da due suole con carrarmato e un cane, che però non hanno fatto il giro completo, ma dopo un po' sono tornate sui loro passi.
Nonostante la precipitazione magra, l'atmosfera del bosco è fiabesca, per i rami carichi e la neve intonsa a terra. Non riesco ad amare la neve che così. Respiro a pieni polmoni l'aria umida e pura, ma non davvero fredda, anche se una sostanziosa porzione del lago intorno all'emissario è gelata. Mi sono coperto persino troppo.
La scelta dei soggetti da fotografare si rivela ostica. L'ambiente incantato distrae e confonde: è la nota discrepanza tra l'attraente e il fotografabile. Ricordo distintamente che, quando ero un principiante, riprendevo tutte le belle vedute che mi si presentavano dinnanzi, senza portare a casa nulla di quella bellezza. Ripasso perciò nel mirino molte scene seduttive ma inespressive e vagabondo incerto e irrequieto alla ricerca delle scene efficaci: la mia pista è da cane, non da lupo. Oscillo tra zone inesplorate e posti collaudati: vale la pena di riprovare inquadrature già catturate, nell'ambiente trasfigurato, perché è il meteo a fare la foto di paesaggio, a dispetto dell'ingannevole attributo convenzionale.
In tema di ripetizioni, concludo con una cioccolata con panna dai mummificati.
30 dicembre 2018
Un terso pomeriggio di vento tiepido, qualche velatura, terra secca e molti cani.
1 dicembre 2018
Seconda uscita brumosa: mi aggiro frettoloso, come un fungaiolo senza slanci, che punta dritto ai siti fruttiferi. Sono a caccia di scene improvvide, non abbastanza schive e accorte da celarsi al mio mirino.
Alla spiaggetta non ci sono pescatori, ma solo gruppetti di adolescenti. La Zanzara, proiettata di già sulla chiusura invernale, spranga per desolazione a metà di un sabato pomeriggio propizio per le patatine del supermercato addobbato e riscaldato. Sempre più verranno giorni in cui passerò di qui, blocchi antismog permettendo.
27 ottobre 2018
«Everything is lovely,
In a misty morning glaze.
I like misty water,
I like fog and haze.
Anne Maria and her daughters,
They like misty water.»
7 ottobre 2018
Dopo un'estate calda e secca, arriva finalmente una giornata umida e grigia, anche lse la pioggia vera ancora latita: il terreno duro e crepato è giusto unumidito. I pescatori sono a riva, chi seduto accanto alla tenda, chi a mollo. Una coppia con un'amica comincia il giro del lago leggendo una citazione di Messner sull'andare lento. Li supererò più avanti, mentre una procede all'indietro. Un gruppo di nordic walker mi supera fa due giri del lago a passo arrembante. Io invece mi fermo a sbirciare un cormorano mentre fa toeletta; i suoi simili affollano il solito pioppo. La mattina trascorre in foto inutili, giusto per darmi una scusa aziendalista mentre me ne sto a riva a contemplare la bruma.
15-19 aprile 2018
Quest'anno è la volta buona di uno scatto che cerco da lungo. Il primo tentativo infruttuoso, nella mattina solitaria, mi dona gli incontri con due svassi che si corteggiano, un airone rosso, qualche airone nero. Senza dimenticare il tappeto di anemone dei boschi. La seconda è più fortunata, ma è anche un veni-vidi-vici.
Luna di Pasqua 2018
Una piccola carovana di auto francesi e tedesche si accosta alla staccionata, sul margine dello spiazzo davanti alla taverna. I passeggeri scendono a fotografare il lago, attraverso il varco di un albero caduto, e riprendono subito il viaggio. In un libro di alcuni decenni fa, un fotografo americano raccontava un episodio analogo a cui aveva assistito al Grand Canyon. Mi rendo conto che, quando cammino in montagna, spesso faccio anch'io così, solo magari con un po' più di accortezza nella scelta della ripresa. Ne ricavo delle impressioni che non rendono giustizia all'ambiente, o perlomeno di cui colgono solo una sfaccettatura, estratta a caso, come un bussolotto dall'urna delle possibilità. Ho perso il conto di quante volte sono venuto qui, in tutte le ore del giorno e della notte, in tutte le condizioni meteorologiche; ho scoperto che posso vedere in cento modi diversi i medesimi soggetti. Questa esperienza mi ha fatto capire quanto poco riesco ad apprezzare di un luogo, quando ci passo per una visita fugace. Anche per questo preferisco le escursioni in cui dormo nella natura, dove posso ammirare almeno un punto dalla sera alla mattina.
Sui prati attorno al pioppo dei cormorani hanno sgommato dei quad, immagino con che sconquasso per gli uccelli. Non oso pensare cosa capiterà a Pasquetta. Ai margini del prato sono scampati dei campanellini di primavera, mentre al riparo del bosco sono spuntate le primule e i dente di cane. Le neonate foglie di aglio selvatico spandono il familiare odore acre.
Sui prati dietro alla spiaggetta assisto in diretta allo spettacolo di adolescenti scorazzare su una moto da cross, con accompagnamento di grida infantili. Questa gente viene qui per esportare il modello culturale urbano, piuttosto che per cercarvi un'alternativa. In fondo odiano la natura, anche se vengono a passarci del tempo libero, come profetizzato da Huxley nel “Brave new world”. Non è una novità della modernità: anche nell'antichità e nel Medioevo le città plasmavano la campagna a proprio uso e consumo; è solo cambiato il modo al mutare della cultura dominante. Mi rendo conto che è cominciata la nefasta bella stagione, delle gite fuoriporta, e dovrò cercare rifugio dove i motori non arrivano. Qui tornerò tuttalpiù di notte o al mattino presto, insieme ai pescatori.
Anziché aspettare la luna fermo nel punto scelto, preferisco ripercorrere il giro del lago nel silenzio del crepuscolo e dei canti degli uccelli. Infine mi acquatto sulla riva, in attesa della luce delle tenebre.
23 marzo 2018
Il quarto di luna lambisce i monti e filtra a malapena nel folto del bosco ripariale. Tuttavia non ho bisogno della pila, per trovare la strada nel dedalo di tracce: leggo il Braille dei cespugli. Stranamente ho un'idea precisa sul da farsi e mi ostino a ignorare che il progetto si accinge a fallire. Quasi mai riesco a programmare una foto: devo ogni volta farmi sorprendere dai soggetti e dalla luce, come se fosse la prima. Però dal fallimento apprendo che i monti, riflessi sul lago quasi immobile, in foto mostrano margini incerti e dettagli confusi, come appaiono alla mia corteccia nella luce lunare. Cercherò di capitalizzare questa scoperta in futuro.
Nemmeno penso di fermarmi due minuti a contemplare la luce cinerina sulla spiaggetta, o il riflesso della luna danzare sul lago. Quando scopro che i miei piani sono andati in fumo, vado infatti alla spasmodica ricerca di soggetti alternativi, come se dovessi portare a casa la pagnotta. Potrei invece solamente godermi questi momenti di beata solitudo, sola beatitudo, come è scritto sul sito di un fotografo notturno incontrato ai laghi di Fremamorta. Potrei ricordarmi più spesso che fotografo perché mi dà piacere entrare in simbiosi con la natura, contemplare gli alberi, i monti e la luce e riflettervi la mia sensibilità, piuttosto che per un risultato materiale.
22 marzo 2018
Nel pomeriggio di sole adolescenti si affollano sui tavoli davanti alla Zanzara, un motociclista sgasa accanto ai bidoni della differenziata, un ragazzo si aggira per i prati abbracciando un metal detector. Incrocio un collega qui per la prima volta. Condivide con me considerazioni da principiante: «meglio alla spiaggetta, dove c'è più luce», «ma come fai adesso che è andato via il sole, alzi gli iso?».
Per rispondere a un messaggio differibile, perdo l'ultima luce sul canneto. A corto di idee, passo il tempo a fotografare le nuvole riflesse sul lago, prima di inseguire Venere mentre sparisce dietro al Rocciavrè.
Nel parcheggio si è acceso un faro da stadio, probabilmente installato dopo che un tossico vi è morto di overdose. La prossima volta andranno a spegnersi da un'altra parte.
1 marzo 2018
La nevicata arriva e si spegne insieme alla prima notte della neonata primavera. Sul fare del giorno, bianco e silenzio ricoprono la spiaggetta. La mia auto lascia le uniche strisce scure nel parcheggio, i miei scarponi cancellano le orme di lepri e merli. Un barbuto di corsa saluta. Oggi non devo rincorrere luci fuggevoli: lungo il giro mi fermo perciò con calma e lucidità insolite.
12 dicembre 2017
Dopo un autunno siccitoso e caldissimo, improvvisamente le temperature sono crollate e, a due riprese, è caduta la neve. Sul pendio solatio del Moncuni è già scomparsa, mentre la spiaggetta è interamente bianca. Oggi è una giornata tersa e fredda; favorisce la condensazione di una sottile nebbiolina, che dalla superficie del lago si estende ai dintorni e sarà il mio soggetto prediletto. La neve altera profondamente il paesaggio, anche se si tratta di pochi centimetri, e mi porta ad esplorare zone che finora non mi avevano offerto spunti. Il sole basso riesce lo stesso a fondere la neve sui rami, che gocciolano e luccicano nel controluce. Grazie alle precipitazioni, il livello del lago è salito un poco.
La Zanzara è chiusa e poca gente affluisce sulle sponde: un bevitore di Menabrea, un fotografo di germani e una mamma, che viene con i figli piccoli a dare il pane agli uccelli.
18 novembre 2017
Un pomeriggio a due facce
5 novembre 2017: la prima pioggia del mondo
Sembra la prima pioggia da quando c'è il mondo. Il terreno non la conosce e non sa come accoglierla: indurito e compattato dalla lunga siccità, non la lascia fluire dentro di sé; scorre invece sulla sua pelle e si riversa nei rii ancora limpida. Nelle anse si accumula schiuma bianca, sostanza organica lavata dal terreno. La battigia è indietreggiata oltre ogni ricordo e ha scoperto massi e tronchi neri mai visti. La bruma nasconde le montagne.
A precedermi c'è solo un pescatore; acquattato nella sua tenda, nemmeno fa capolino per scrutarmi. Resto un po' sulla spiaggetta e mi dirigo quindi ai canneti. Svassi isolati si tuffano nel lago, uno stormo di morette vi plana sopra, un airone bianco decolla da un ramo, mentre un secondo vi resta. Tra i cespugli bottiglie vuote di birre scadenti. Mi fermo a lungo, più di quanto sia abituato, aspettando che gli uccelli collaborino alle mie inquadrature. Non ricordo di essere mai stato così paziente.
La pioggia cessa e resta il solo sgocciolio dai rami, sulle vivaci foglie morte, una cromia incongrua in questa mattina gaiamente uggiosa. Il sentiero collinare è un ruscello senza fango, come se l'acqua scorresse tra sterili rocce.
Riprende a piovere poco prima che arrivi al capanno di avvistamento. Alcuni cormorani hanno occupato dei tronchi affioranti e li difendono dai pretendenti. Altri, che non aspirano alla scalata sociale, si posano sul consueto pioppo. Resto un po' a prendere la pioggia, in attesa di qualche planata decisiva.
Imbocco la sterrata sull'istmo tra i due laghi, costeggio la villetta del cane esagitato e sono sul sentiero accanto alla statale. Sono le 10 e il traffico è aumentato, rispetto a due ore fa. In una domenica di pioggia tutti restano a letto fino a tardi, ma non si esimono dal giro in auto. Il bar è chiuso, tanto oggi non sono previsti clienti. Il pescatore riceve la visita di un amico. Gambali e scarponi sono zuppi e puliti, come se avessi camminato sull'asfalto.
29 aprile 2017
Stasera vengo per ripiego: avrei voluto fotografare il Maira nel controluce lunare, ma all'ultimo momento è stato previsto un blando fronte nuvoloso proprio al crepuscolo. Tutto rimandato. Anche qui si prospettano nuvole fastidiose, ma sento proprio il bisogno di una boccata d'aria, dopo un sabato di sole trascorso ingabbiato in città; il lancio della pallina al gatto è stato l'unico svago.
Arrivo dopo il tramonto, sperando che la prevedibile folla di merenderos sia già sciamata. Mi accoglie un odore di acqua stantia, come di un porto-canale, ma senza il salmastro. Il livello è basso e la superficie invasa dai detriti vegetali, come quando non piove da molto. Ad un tavolo di fronte alla Zanzara dei ragazzi stanno ascoltando della musica tump-tump a palla, mentre a riva due pescatori hanno montato le tende e chiacchierano accanto alle canne. Cerco un luogo più appartato e sulla via m'imbatto in due tipi sdraiati tra i canneti che si palpeggiano. Hanno percorso pochi metri da un'area picnic affollata e già credono di essere in un posto solitario in mezzo alla natura. Su un prato evidenti tracce di automobili mi suggeriscono che forse questa stagione non è riservata a persone come me. Sulla riva cerco invano l'ispirazione, fino a quando decido che non vale la pena; opto per fare il periplo del lago al crepuscolo, senza pensare alle foto.
Mi infilo perciò nel bosco, ma senza tenere fede al mio proposito, perché butto l'occhio sugli accessi al lago, per vedere se posso rimediare qualche scatto. Tuttavia lo faccio senza convinzione né concentrazione, tanto che non riesco nemmeno a individuare gli angoli dove vado più spesso a fotografare su questo lato. Mi secca quando non so staccare e godermi la passeggiata.
Il terreno è duro e c'è poco fango. Per ripristinare il bilancio idrico, servirebbe una pioggia convinta di tre-quattro giorni, di quelle per cui la gente si lamenta come se piovesse da un mese, anche se non lo fa da sei. Quando smetto di riflettere, sento il canto degli uccelli. Ne percepisco solo l'armonia caotica, mentre questi suoni sono un messaggio per i propri simili che non so decodificare: quanto è superficiale il mio apprezzamento della natura! Chissà come i piccioni percepiscono il vociare di piazza San Marco o i corvi il rombo delle auto, che procurano loro lepri e ricci spiaccicati.
Mi piace il colore acquamarina dei boschi al crepuscolo, come la luce diffusa e tridimensionale che arriva dalle radure. Estraggo la fotocamera, ma dopo un po' di esplorazione dal mirino mi convinco a lasciar perdere. Meccanicamente, anche al punto di osservazione ripeto il gesto, senza sapere il perché. Con più determinazione, in una radura cespugliosa lungo la 589 medito un po' se scattare una foto, ma il cielo piatto mi fa desistere. Le nuvole infatti, che al mio arrivo erano a pecorelle, hanno coperto tutto il cielo. Formano uno strato uniforme, senza chiaroscuri, che annienterebbe ogni foto. Anche la collina boscosa è di un verde piatto, perché la fioritura è ormai finita.
È passata quasi un'ora da quando il sole si è spento dietro le nuvole, al mio ritorno alla spiaggetta. Manca poco prima che il blu del crepuscolo ceda il passo all'arancio del giorno artificiale. Analizzo nel mirino i soliti soggetti, ma il cielo non è cambiato. Non resta che aspettare che tornino l'autunno e la sua bruma. Speriamo che lunedì sera il Maira mi sia più propizio.
5 aprile 2017
Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,Giacomo Leopardi
La pioggia cessa mentre esco dal lavoro. Negli ultimi passi prima di casa le nubi a grumi mi suggeriscono che in serata dovrebbe schiarire, o almeno me ne suscitano la speranza. Mi accodo perciò agli ingorghi del rientro, diretto al lago. Sabbia umida, fango, germani acquattati, fioriture collinari, aria calma e tersa mi attendono, mentre già il sole squarcia le nubi. E non me ne voglia Leopardi se già mi piaceva la tempesta del fronte freddo, che ha preceduto questi momenti.
Coppie di innamorati e un pescatore affluiscono alla spiaggetta e ai suoi dintorni. Le nubi si dissolvono anche troppo in fretta per i miei desideri, ma la sera è così limpida e il lago così quieto, che non ci bado più di tanto. Al crepuscolo l'umidità penetrante genera una rarefatta nebbiolina, che mi trattiene oltre il prevedibile. Ormai calpesto la mia ombra lunare, quando come al solito me ne vado per ultimo.
31 marzo 2017
Vengo per sfruttare il Wi-Fi della fotocamera in maniera creativa. L'intenzione è di controllarla da lontano, per poter fotografare con il normale gli uccelli acquatici, senza infastidirli con la mia presenza. Non mi piacciono i ritratti di animali fatti con il tele, per cui cerco di ambientare le inquadrature con una focale più corta. Purtroppo però le cose non vanno come speravo. Il posto tranquillo che scelgo è molto fotogenico, ma poco frequentato dagli uccelli, che passano lontano. Inoltre il segnale della fotocamera svanisce così celermente, che basta avere in mezzo due alberi con poche foglie, per farmi perdere il contatto. Morale: devo stare nei pressi e pertanto l'unica volta in cui passano due germani sono infastiditi dalla mia presenza e si allontanano. Fiasco totale.
Mi dedico allora ai riflessi. Certe foto vengono primaverili mentre altre cupe. Non è il mio stato d'animo a plasmarle. Quando fotografo da solo, sono in pace e mi lascio catturare dal fascino solare come da quello tenebroso senza eseere spinto dall'umore a preferirne uno. Da qualche parte ho letto che algoritmi possono diagnosticare la depressione, analizzando le foto pubblicate sul profilo social di una persona. Per me non è così: non potrei mai fare una serie con The Solitude of Ravens di Masahisa Fukase, mentre sono in preda alla disperazione per un lutto. Non fotograferei e basta, mentre posso scattare immagini cupe e apriche in sequenza, mentre sto bene con me stesso. D'altronde, nulla mi dà benessere come fotografare gli scuri paesaggi delle notti di luna.
Torno allla spiaggetta, che al calar del sole si è svuotata dalla folla di un tiepido pomeriggio primaverile. Al mio arrivo ho dovuto percorrere il piazzale fino in fondo per trovare parcheggio, mentre al rientro la mia auto avrà solo la compagnia di una Panda, dentro cui confabulano due persone. L'ultima luce del giorno tinge di viola gli spazi tra le nubi, che si vanno addensando sulle montagne e annunciano il secondo fronte freddo primaverile.
25 febbraio 2017
«Arrivati in cima al mare, dove il mondo diventa piccino, la mela lasciò il suo vecchio vestito e prese l'abito da sposa più rosso. Più rosso!»Area, La mela di Odessa
All'ultimo momento decido di svuotare la borsa e di portare solo l'unico obiettivo che avevo lasciato fuori: il telobiettivo più estremo che possiedo, un fisso puramente meccanico coevo dei Led Zeppelin. I preparativi per ogni scatto sono macchinosi, perché devo anche montare il collare dell'adattatore, indispensabile per un buon bilanciamento sul cavalletto. Tuttavia la visione, offerta solamente da una prospettiva così ristretta, consente di cogliere sfumature del paesaggio che a un passante occasionale sfuggono. Cerco anfratti lasciati liberi dai merenderos di un sabato pomeriggio, che già regala i primi tepori di una prossima primavera, ma anche dai germani e dalle folaghe, per non disturbarli. Monto l'ambaradan ed esploro i dintorni dalla visione privilegiata e assorta del mirino.
Mi fermo al punto d'osservazione, affacciato sul pioppo usato come posatoio dai cormorani, che svernano al lago. Tuttavia non ho la pazienza di aspettare che qualcosa movimenti la scena statica di loro beati a godersi il sole del tramonto. Aspetto volentieri anche un'ora o più la luce ideale, ma non potrei mai acquattarmi come un fotografo naturalistico.
Neanche mi accorgo del fitto traffico che corre alle mie spalle, mentre nell'ultimo sole esploro il lago dal sentiero al margine della statale, protetto solo da una siepe. A momenti non vedo neppure le persone che aggirano il cavalletto mezzo nella traccia.
7 gennaio 2017
Conto che in questa gelida mattina il lago ghiacci. Arrivo non appena schiarisce un po', per poter esplorare con calma le sponde. Disturbo degli aironi bianchi e cinerini, mentre i germani e le folaghe si mostrano indifferenti alla mia presenza. Alla spiaggetta non c'è traccia di ghiaccio; ce n'è tra i canneti, dove il fondo digrada più dolcemente, ma non c'è galaverna su tronchi e pietre a riva: la notte è stata troppo secca. Guardando nel mirino, mi accorgo subito che in una foto che include le montagne non si noterebbe nulla. Dopo qualche tentennamento, quando manca ormai poco all'aurora, mi dirigo lungo la strada; mi accorgo però presto che sui cespugli non c'è la brina che adornava i prati a monte dei canneti. Le cime dell'Orsiera sono già rosate e dall'incavo di Trana s'intuisce che il sole sta per arrivare anche al lago. Mi viene in mente il pioppo bianco dei cormorani, che potrebbe rilucere. Scendo allora lungo la traccia infrascata che porta all'emissario. Quando sistemo il cavalletto, il sole l'ha già quasi raggiunto. Scoperto qual è il set ideale di lente e filtri, la fotocamera al solito litiga con lo scatto remoto, per cui per la posa B devo ripiegare sul controllo via telefono, che vuol dire senza guanti. Mi viene in mente che, in un impeto di masochismo, ieri sera misi un termometro nello zaino; lo estraggo e lo lascio un po' all'aria: segna -8°C. In ogni caso, la foto riesce prima che abbia perso del tutto l'uso delle mani (non che i piedi stiano meglio). Il tè caldo del thermos è più o meno inutile.
riparto e il movimento mi fa guadagnare qualche grado. Tra tentativi abortiti e ripensamenti, riesco a fotografare qualche moretta che riposa a centro lago. La temperatura è salita a -5°C e sono le nove passate, ma la luce è ancora calda.
Trovo una sponda con del ghiaccio fotogenico, raggiunta dalla luce che filtra dal bosco. Mi fermo e aspetto che illumini una pietra che emerge sulla superficie. Sono quasi le 10 e siamo ormai a -3°C.
Sulla sponda meridionale due persone stanno armeggiando con una rete. I prati sono raggiunti dal sole; non mi sembra vero che il sole di gennaio possa essere così tiepido, dopo che sono rimasto sempre in ombra. Mi fermo e me lo gusto. Alla spiaggetta scatto una foto già fatta con luce migliore, ma la visuale è così bella che non resisto. Alla fine dell'uscita mi accorgo di aver usato le lenti che ero incerto se portare, mentre ho lasciato in borsa quelle su cui contavo di più.
Santo Stefano 2016: quei due alberi
Eppure qui ci sono stato tante volte. Come posso essere ancora convinto che il canneto sulla riva opposta sarà traslucido al tramonto? È troppo schiacciato contro il bosco, perché il sole radente arrivi a illuminarlo da dietro. E come ho fatto a non notare mai quei due alberi riflessi sulle onde?
Me lo ripeterò più e più volte, in questa sera precoce, non appena si sarà eclissata la famiglia molesta, venuta a fare caciara nell'attesa del cinepanettone, e sarò rimasto da solo a contemplare la luce sempre più fioca.
L'umidità trapassa poco alla volta gli strati che mi proteggono. Le mani sono quasi intirizzite e inutilizzabili quando mi allontano, senza disturbare due adolescenti che, nel buio del parcheggio ma nella protezione dell'abitacolo, conversano guardandosi negli occhi.
Vigilia di Natale 2016
Due passi fino ai canneti oltre l'immissario mi convincono subito che non è questo il luogo giusto. Per sfruttare le velature previste al tramonto, devo salire al poggio panoramico sopra il lago, lungo quel traverso su cui non ho mai incrociato nessuno. Gli escursionisti raramente percorrono i traversi, perché preferiscono invece il sentiero più breve e diretto per la cima. Dal poggio si domina la conca ai piedi della Val Sangone.
Dato che è presto, allungo passando dal col Buchet, dove transitano ciclisti e un papà con il figlioletto. Penso anche di fermarmi qui, ma poi ritorno sulle mie decisioni iniziali. Fa molto caldo per la stagione: solo dopo che il sole sarà calato dietro al Monte Cristetto, sentirò il bisogno del cappello e di un pile in più; per le mani basteranno le tasche. Non resta che una paziente e asciutta attesa della luce. Sarà ripagata con una foto imprevista.
8-9 ottobre 2016
Nella stagione della luce che muore, in una sera senza preventivo finisco alla spiaggetta. La luna splendeva sopra casa mia, mentre ai piedi delle Alpi nubi spesse e uniformi oscurano il cielo: non lasceranno intravedere che un paio di stelle, per pochi istanti. Tuttavia il chiarore della pianura urbanizzata, riflesso dai cumuli, permette lo stesso di girare senza pila. Il traffico del sabato sera è frenentico e incessante: impossibile scattare dal lato della strada, perché solo spizzichi di secondi sono liberi dalle luci dei fari. Passano auto persino sulla pista sterrata, che finisce ad una manciata di case. Però quaggiù non scende nessuno. Il bagliore di villette dietro la collina mi sembra l'unico soggetto fotografabile: la luce notturna mi attrae anche quando è giorno artificiale. Le riservo un paio di pose B, sperimentando i primi piani per trovare il migliore: la lunga siccità ha fatto arretrare la battigia e ha scoperto sassi e tronchi normalmente sommersi. Le due ore di vana attesa delle stelle trascorrono così in sordina. Solo verso la fine la falce di luna che tramonta filtra arancione tra le nubi, ma per non più di mezzo minuto e senza proiettare ombre.
Anche nella tarda mattinata la spiaggeta è popolata solo da germani e folaghe, complici la giornata bigia e la chiusura della Zanzara. Quattro ciclisti in astinenza da caffeina lo scoprono con rammarico. Un fotografo con cannone e testa a bilanciere se ne sta acquattato in una baia riparata. Avanzo sul terreno duro e secco, tappezzato delle ghiande delle farnie, esplorando tutti gli accessi al lago. Sono un po' diversi dal solito per il livello basso delle acque. La brezza da est increspa la superficie e mantiene bassa la temperatura. Dopo una manciata di foto mi dedico alla passeggiata; disegno un lungo giro tra i sentieri noti dei boschi della collina. Penso a Primo Levi, che al dinamitificio qui vicino lavorò tanti anni come chimico. Amava camminare in montagna e chissà se avrà calpestato i miei stessi sentieri. La mia meta sono i prati di borgata Battagliotti e il loro masso erratico. Tuttavia riservo loro solo uno sguardo fugace, tanto per avere un ricordo evanescente del passaggio, da fondere con quelli passati. Solo un cane rumoroso mi osserva passare tra le rurali Case Cordero. Mentre torno all'auto, gente affluisce alla spicciolata alla spiagetta. Bastano due foto e quattro passi per sentirsi bene.
19 aprile 2016
Tersa giornata di primavera, mezza libera. Verso le 14 il parcheggio è pieno: una folla rumorosa sta ancora banchettando sui tavoli della spiaggetta e un bus ha scaricato ragazzi sui prati intorno. Basta però fare pochi passi e non s'incontra che una signora a spasso col cane: dei merenderos non resta che un sommesso brusio, che un passo alla volta impercettibilmente scompare. In un angolo riparato tre folaghe si impettiscono, si fanno minacciose arcuando le ali e si corrono incontro per confrontare la propria prestanza, indifferenti allo spettatore a riva. Dal terreno sale un aspro odore di aglio. Non tutti gli alberi hanno le foglie, ma il verde tenero copre lo stesso il cielo e invita a una passeggiata a ritmo contemplativo. Percorro il sentiero costiero, quindi risalgo il percorso collinare deviando per i prati di borgata Battagliotti. I noci del filare a bordo sentiero sono fioriti e inverditi, i ciliegi hanno ancora un po' di bianco. Tento di costruire immagini bidimensionali dai brandelli di natura che più mi attraggono: onde, foglie novelle o chiari ruscelli. Le foto riescono invece quando è la scena intera che si ordina al mio cospetto come un'epifania e io non devo fare altro che ritrovarla nel mirino.
Un forte desiderio del primo gelato della stagione conclude le due ore di meditazione deambulatoria.
7 febbraio 2016
Dopo mesi di siccità, finalmente alle 5 mi sveglio al suono del ticchettio della pioggia sulla grondaia. Ripiombo nel sonno fino alle 9. Al pomeriggio vado a fare il giro del lago. A Trana alcuni bambini in maschera sono l'unica incarnazione delle sfilate di Carnevale, con tutta probabilità rimandate alla prima domenica di Quaresima.
Al parcheggio la pioggia è già cessata. Mi incammino lungo il sentiero sul bordo della 589 e i miei piedi sentono subito che il terreno è rimasto duro, non solo dove è calpestato, ma anche sul prato. L'acqua è si è insinuata a malapena nella massa compatta. L'atmosfera è pienamente invernale, con la neve sul Ciabergia e i dossi della montagna seminascosti dalle nubi: nei giorni di sole non è mai davvero inverno, per quanto faccia freddo. Per una delle tracce che vanno alla riva, scendo sulla sponda. I germani, che nuotano un poco più in là, si inquietano e a gruppi si involano protestando con starnazzi. Calo poi anche verso l'imbocco dell'emissario, senza arrivarvi.
Mi fermo un quarto d'ora al punto di osservazione. Le folaghe nuotano avanti e indietro e ogni tanto si immergono. I cormorani, invece, se ne stanno indolenti e silenziosi, appollaiati sul pioppo bianco che hanno scelto come casa. In tutto il tempo, ne vedo solo un paio arrivare dal lago e unirsi agli altri, annunciando l'atterraggio con un breve verso acuto e stridulo. Uno se ne sta quasi immobile in cima a un tronco che sbuca dall'acqua. Non so quanto questa pioggia sia apprezzata da loro, che dipendono da un lago che non ha patito la siccità.
Odo picchettare sul tetto del riparo: sta riprendendo a piovere. Aspetto che l'intensità aumenti quanto basta a percepirla sul corpo e riprendo la marcia. Oggi ho preferito il cappello al cappuccio della giacca: ripara di meno ma isola anche meno dal mondo. Col cappuccio in testa si crea un microcosmo ovattato che mi fa rinchiudere nei miei pensieri, esperienza a volte è piacevole, mentre oggi voglio assaporare il ritorno dell'acqua.
Il cielo ha il blu stinto delle nuvole, il verde dei prati è un po' sommesso, i tronchi bagnati sono scuri. Il colore più acceso è quello delle foglie morte, che ancora non sono potute decomporsi per rientrare nella catena alimentare e sono di un arancione vivo come a novembre. Non si sente infatti il caratteristico odore della marcescenza. Da lontano sento scorrere l'acqua nel torrente che sto per attraversare. Nonostante la pioggia, ce n'è davvero poca ed è limpida, perché il terreno duro non si lascia dilavare. Meno male che ha piovuto poco, perché non sarebbe stato in grado di fare da spugna alla massa d'acqua di un nubifragio; speriamo che ora ci siano altre piogge simili e un po' per volta riescano a penetrarlo e ad ammorbidirlo. C'è fango, e poco, solo nei posti in cui è quasi perenne: persino la terra del bosco sembra impenetrabile. Speravo di provare il piacere dimenticato di cercare l'incerto equilibrio sul fango scivoloso, ma l'esperienza va rimandata.
Prendo a costeggiare il lago. Quando mi fermo a contemplare gli anelli di onde formati dalle gocce che cadono, con la coda dell'occhio scorgo uno svasso che si tuffa. Emerge poco lontano e avanza dondolando il collo flessuoso. Mi accorgo che l'ontano tra me e la riva è già fiorito. Il rio Giacomino lo sento solo quando ci mi calo nel suo fosso e lo varco sullo scivoloso ponte di legno. Sollevo la testa per cercare un uccello che volando fa dei versi e sento le gocce di pioggia sul naso.
Sono già alle spiagge del lato sud. Mi infilo nel fitto bosco per raggiungerle e percorrerle camminando sulla linea della battigia. Riconosco i soggetti fotografati con mille luci. Oggi no, però, perché la fidanzata è in rianimazione: al termine di una gita ha smesso di accendersi e ho dovuto portarla al pronto soccorso. Anni fa, dopo una sera nell'umidità salmastra di Punta Chiappa, era morta, ma il terzo giorno era risuscitata: chissà come, avevo scoperto un rito magico che le ridonava vita quando rifiutava di accendersi. L'ho officiato varie volte, quando l'ho fatta inzuppare sotto le nevicate o le piogge. Tuttavia in un tramonto freddo e secco di gennaio non ne ha più voluto sapere.
Da lontano avevo visto gli ombrelloni tra le panche e avevo sperato che la Zanzara avesse aperto, dopo la pausa invernale, ma i ragazzi sono venuti solo a dare il bianco. D'altronde sarei stato l'unico cliente: forse per la prima volta non ho visto nessuno lungo tutto il giro. Anche nelle uscite notturne qualche pescatore l'avevo sempre incontrato. Resto a rimirare gli uccelli che si godono la spiaggetta tutta per loro: le folaghe razzolano tra la ghiaia alla ricerca di insetti, mentre l'oca del Canadà vista a Capodanno se ne sta discosta dalla riva a mangiare erba. Senza disturbarli rimango un po' fermo sotto la pioggia a osservarli. Infine vado a cambiarmi le scarpe inzaccherate e salgo in auto.
1 gennaio 2016
Da tempo ho in mente di raggiungere il Lago Piccolo a piedi, dai sentieri della collina morenica di Rivoli. Se fossi un purista, partirei a piedi da casa, ma non ho voglia di sorbirmi i sette-otto chilometri di asfalto, lungo la pista ciclabile del Sangone. Prendo perciò il bus che mi porta a Rivalta, dove cominciano i sentieri. Qualche fermata dopo la mia, sale una vecchia conoscenza che non vedo da tempo: una signora nata in un alpeggio delle valli valdesi, perché i suoi genitori erano pastori e praticavano la transumanza. Mi chiede se nel frattempo ho trovato lavoro e si rallegra della risposta positiva. «A me invece non lo danno più. Mi son baluba».
Il bus mi scarica in mezzo alle villette delle zone residenziali per benestanti. A memoria imbocco la via pressoché deserta che porta all'attacco del sentiero. L'unico incontro è con una persona che porta a spasso il cane, un'incombenza che come la mungitura delle vacche non conosce né Natale né Pasqua. D'altronde la carenza di pedoni non è dovuta solo alla mattina di Capodanno: qui gente a piedi non è che ne abbia mai vista tanta, perché chi abita in questi romitori di lusso prende l'auto anche per andare a comprare il giornale. In questa distesa di case come in fotocopia, senza punti di riferimento come negozi o luoghi pubblici, provo la sensazione di essermi perso, anche se sono sicuro che la strada giusta sia questa. Sono passato tante volte di qui, ma sempre in auto o bici, mentre oggi l'andare a piedi sembra dilatare gli spazi oltre misura. La sensazione di straniamento aumenta quando, dopo aver sempre proceduto diritto, mi trovo all'incrocio con la via che dà il nome alla fermata a cui sono sceso. Sto iniziando a meditare di consultare il GPS del cellulare, quando trovo la familiare via che porta in campagna.
La cappella di san Sebastiano fu posta, come spesso capita, all'incrocio tra due strade: la prima segue il margine della collina, la seconda la risale. Per ora la crescita suburbana sembra essersi arrestata ed essa volge ancora l'abside ai prati. Seguo la via bassa, una pista antica, che in certi punti conserva ancora la lastricatura in sassi di fiume levigati dalla corrente. Il tracciato costeggia cascina Roncaglia e poi prosegue come sentiero nel bosco. L'ambiente è quello della foresta di pianura, con querce, i carpini dalla corteccia liscia e nera e le moderne robinie; il sottobosco è un intrico impenetrabile di cespugli e rovi. Gli alberi sono di dimensioni medie o piccole. Accanto al sentiero corre un canale d'irrigazione per i campi sottostanti. Tra le fronde di una quercia vedo muoversi qualcosa e scrutando noto che è uno scoiattolo rosso. L'invasione di quelli grigi ha preso il via a pochi chilometri da qui, da una coppia regalata a una famiglia, per il giardino della loro villa. Fa piacere constatare che qualche esemplare autoctono ancora resiste, non solo in montagna, dove per ora gli invasori non sono arrivati. Incrocio quindi una signora in tuta, che si sta godendo una passeggiata solitaria come la mia.
Confluisco in una strada sterrata, chiamata Strada Comunale Antica di Bruino. Su questa collina ne conosco diverse che portano nomi del genere (un'altra la incrocerò a breve). Le strade per le automobili costruite successivamente hanno seguito percorsi diversi, più rettilinei e in zone più pianeggianti. Questa puntava ad un guado oggi scomparso, mentre la strada recente varca il Sangone su un ponte in cemento, in una zona in cui non è guadabile per via delle sponde alte. Questo vecchio tracciato è rimasto così com'era, per chi ha voglia di girare a piedi, a cavallo o in bici. Corre tra la collina e un bosco ai margini del torrente Sangone, dove c'è una zona di protezione, perché ci sono i pozzi dell'acquedotto di Torino. La situazione non è così preservata dappertutto: poco a valle, accanto al torrente alcuni anni or sono è stata trovata una discarica abusiva di rifiuti tossici, sotto un parco dove la gente andava a fare le grigliate. Oggi la zona è cintata, in attesa di una bonifica. A mezza strada c'è poi un'industria premiata da Federchimica per il rispetto ambientale, che è stata chiusa a causa degli scarichi che riversava nel corso d'acqua.
Un secondo scoiattolo, che intravedo ai margini di un canale, quasi non mi fa notare che supero l'imbocco dell'antica strada che univa Bruino con Villarbasse, che allora ne era una frazione. La strada è scomparsa verso Bruino, per via della zona riservata all'acquedotto, come anche il guado sul Sangone. È invece ancora percorribile verso Villarbasse. Univa i centri dei paesi per la via più breve, mentre il percorso moderno fa un giro più lungo, passando dove è stato possibile tracciare una carreggiata più ampia. Nel tranquillo paese di Villarbasse fu commesso l'ultimo delitto punito in Italia con la pena capitale (si trattò di un'orrenda strage durante una rapina, poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale). L'esecuzione avvenne pochi giorni prima che la Costituente votasse l'articolo che la abrogava dal codice penale.
Proprio su quella strada termina la mia. La attraverso e noto che c'è più gente in giro: alle otto e mezza la trafficatissima provinciale che taglia il mio quartiere era deserta, mentre adesso passano alcune auto su questa strada secondaria. Risalgo un pendio per una traccia, a tratti molto erosa dalle moto, per finire su un altro antico percorso diretto a Reano. La stretta stradina è bordata da file di pietre e muri a secco ricoperti di muschio, dove crescono le felci. Procede quasi in piano fino a sfociare fuori dal bosco ai margini del paese. Sotto gli alberi qualcuno ha ricavato una tettoia con tavoli e panche. È giunto il momento di mettere alla prova la carta Fraternali, perché da qui al Moncuni il percorso è nuovo per me: noto con piacere che è precisa. Attraverso un vigneto e arrivo a un tabernacolo posto su un quadrivio, dove seguo la strada in discesa. Sembrerebbe possibile arrivare al sentiero per il Moncuni anche percorrendo quello che scende fino a Trana, dove ci dovrebbe essere una stradina che vi risale. Lungo la via vedo alcuni cippi di confine con una T e una R incise sui due lati: Trana e Reano. Ce ne sono di analoghi nella parte alta della collina, tra Villarbasse e Rosta, con una B e una R (Bruino e Rosta o Rivoli). Finisco tra alcune case dove si apre la vista su Reano, con il suo castello che nella caligine odierna è di un rosa molto pallido. Scendo alla provinciale, che percorro in discesa. Tra la vegetazione sento dei fruscii e scorgo l'inconfondibile sedere bianco di un capriolo, che fugge al mio passaggio. Anche qui la Fraternali si rivela provvidenziale, perché mi segnala con grande precisione l'attacco del sentiero per il Moncuni, pur in assenza di cartelli.
Il sentiero è segnalato approssimativamente da scolorite tacche gialle, ma non c'è il rischio di perderlo, perché i motociclisti l'hanno eroso fino a renderlo profondo anche trenta centimetri, in certi tratti. In altri la terra è completamente scomparsa e ha lasciato affiorare le rocce sottostanti. Per fortuna a quest'ora stanno ancora smaltendo la sbornia della notte precedente e non sono in giro. Mi domando che senso abbia girare in moto per questi sentieri, visto che con questo mezzo non ci si rende minimamente conto di ciò che ci circonda, ma si mette solo alla prova la propria abilità nel superare le difficoltà tecniche. La natura è usata solo come palcoscenico per esibirsi, senza apprezzarla e senza capirla. Avrebbe più senso girare su una pista artificiale.
L'ambiente si fa più arido, con querce rade su un terreno quasi spoglio. La terra è molto dura per la prolungata siccità. Per la prima volta da stamattina la salita ripida mi fa sentire caldo e mi spinge a togliere lo strato esterno. Non che prima facesse tutto questo freddo, anzi (la notte non era neppure gelato), ma l'umidità e l'assenza di sole invitavano a stare coperti. Tra le panche sotto alla cima trovo un po' di gente, tra ciclisti ed escursionisti. «Buon anno!» «Odio la feste perché persone che di solito neanche si salutano si scambiano salamelecchi». Un signore sta preparando il parapendio per il decollo. «Di solito partiamo da Valgioie, ma oggi c'è nebbia». Impiego un attimo a orientarmi, perché non sono mai salito da questo versante e poi mi dirigo verso la cima panoramica: si vedono a malapena la conca sotto Trana e il Lago Piccolo, mentre davanti a tutto il resto c'è un muro grigiastro. Su una delle panche mi fermo a pranzare.
Scendo al col Buchet e imbocco il sentiero verso il Lago Piccolo, che nel primo tratto è scivoloso perché ricoperto di pietrisco. Sarebbe molto interessante anche scendere direttamente verso Borgo San Pietro per la Via dei Pellegrini, perché si attraversa un condensato di cultura locale: un pianoro dove si dice si radunassero le masche, un masso erratico in parte sfruttato dai picapera e un altro che prende il nome dai lupi che vivevano in zona. I massi erratici in particolare, depositati dal ghiacciaio che ha scavato la bassa valle di Susa, sono una peculiarità di questa collina morenica e hanno sempre alimentato la fantasia delle persone, che non riuscivano a spiegarsi come fossero arrivati lì. Questo velo di mistero non ha loro impedito di sfruttarli prosaicamente come comode cave di pietre da costruzione. Lungo il percorso ne ho visti diversi, ma i più imponenti sono tra Villarbasse e Rosta. Prendendo verso il lago, rientro in ambiente boschivo e supero un paio di bivi, dove hanno messo dei cartelli solo in dialetto, perché evidentemente pensano che ai forestieri questa zona non interessa. Sbuco a Case Olivero, dove ci sono case contadine e un complesso cintato e sorvegliato da videocamere. Pochi passi e sono nel parcheggio del lago. Sulla spiaggetta non c'è quasi nessuno, anche perché è ora di pranzo (la Zanzara è chiusa per ferie). Tra la riva e i primi metri d'acqua è pieno di pezzi di pane, che un'oca del Canadà sta avidamente ingurgitando, mentre folaghe e germani sembrano disinteressati.
Mi fermo sulle panchine e, letta la cartina, decido di fare il giro del lago e riallacciarmi al sentiero nei pressi dell'imbocco della galleria della statale. Vado ad una spiaggia dove mi scopro attratto da un soggetto che, visto nel mirino, si rivela già fotografato in passato. Con la bruma però è una foto diversa. Percorro distrattamente il resto del giro, fino al punto di avvistamento. Qui mi fermo a guardare l'albero dove stanno appollaiati alcuni cormorani, che lo usano come base quando svernano su queste sponde.
Da qui comincia la parte meno interessante del giro, perché si svolge prevalentemente su strade tra le ville fortificate con telecamere e cani oltre i 110 decibel. L'unico momento da ricordare è l'avvistamento di un airone cinerino su un albero. Ad una curva lascio la via perché sono attratto da una stradina sterrata in discesa, che mi porta su corso Laghi. La deviazione casuale si rivela ispirata: passo infatti accanto a una cremeria aperta, dove non resisto alla tentazione e mi faccio servire una cioccolata con panna, un po' dolce ma buona. I proprietari hanno una faccia del tutto inespressiva e modi educati e contratti, come se fossero stati mummificati dopo la morte e ora fossero mossi da qualche grossolano congegno meccanico. Ad un tavolino sono seduti dei ciclisti di ambo i sessi che parlano di cyclette, che però ora si chiama spinning, da pronunciare all'italiana, con la gh finale. Prima di salire sul treno, faccio due passi per il borgo medievale e salgo fino alle rovine del castello, tra gruppi di ragazzi e famiglie con i bimbi piccoli. Le viuzze, come ho già notato altre volte, sono molto trafficate di automobili, che si spingono fino ai recessi più reconditi. La piazza principale del borgo è un grande parcheggio.
Un giro senz'altro da riprovare in una giornata meno bigia, magari proseguendo fino alla Sacra, quando le ore di luce lo consentiranno.
π day 2015
Oggi è un giorno di bruma, che precede l'ultima perturbazione invernale. Secondo le previsioni, arriverà domani e porterà copiose piogge in pianura e neve in montagna, con rischio valanghe in salita a 4.
Attorno a casa mia sono fiorite le primule.
Sperando che lo siano anche al lago, nel primo pomeriggio vado a fare una passeggiata lungo il sentiero collinare. Un po' di gente popola la Zanzara e la spiaggetta, insieme ai germani che salgono a riva per mangiare il pane. Poco distante regnano invece il silenzio e la solitudine. Di primule ce ne sono parecchie.
Prima però esploro un po' la riva e le forme create dall'acqua increspata. Uno spunto interessante.
Al rientro, nel tardo pomeriggio, qualche persona passeggia per le rive o lungo il giro del lago. Due cani, che vorrebbero dare l'assalto ai germani che nuotano vicino alla riva, sono tenuti a stento dai padroni. Un gruppo di mezza età, dall'aria vagamente cittadina e alternativa, se ne sta in piedi a bere birra attorno tavoli esterni. Sorseggio un tè accompagnato da una torta alla panna, mentre il proprietario già comincia riporre i tavoli esterni.
27 febbraio 2015
Al lago ho provato a venire diverse volte di notte, ma alla fine gli scatti buoni sono sempre stati quelli crepuscolari, con luce mista lunare. In piena notte non mi era mai riuscito nulla di buono. Ora ho deciso di provare con la luna e le nuvole, dopo che a ottobre ho ottenuto dei buoni risultati in una notte del genere. Scelgo una sera con il quarto. L'umidità non manca mai, ma non fa troppo freddo. Non ci sono i pescatori notturni: sono solo, anche se il venerdì sera la strada è abbastanza trafficata. Tuttavia i versi degli uccelli notturni sovrastano il rumore delle auto.
Vado alla spiaggetta e alla casetta solitaria sulla riva, lungo la passeggiata accanto alla strada, che non mi aspettavo di trovare abitata; il cane ogni tanto mi scorge e abbaia brevemente.
Da principio la sera è velata, mentre più tardi il cielo si copre di nubi più spesse. Mi accorgo che avrei bisogno di esposizioni più lunghe dei quattro minuti concessi dalla mia fotocamera, ma qualche risultato buono lo ottengo lo stesso. Le nuvole che brillano sopra la terra buia mi piacciono sempre di più.
Prima che le mani si intirizziscano per la fredda umidità, due porcherie in birreria concludono degnamente il venerdì sera, quando ormai è già sabato.
9 aprile 2014
Sperando che gli alberi siano fioriti, arrivo alla spiaggetta una sera di luna gibbosa per cogliere il momento in cui si intersecano la sua luce, con gli ultimi bagliori del crepuscolo e le luci artificiali.
Solo un pescatore notturno, che ogni tanto rimbrotta il figlio, mi tiene compagnia lontana.
Poi la luna dona a 'La Zanzara' l'atmosfera delle Summer Nights di Robert Adams. Quanto sono belli gli edifici illuminati dalla sola luna! Peccato che dalle mie parti sia quasi impossibile trovarne, perché le luci elettriche sono pervasive. Mi piacerebbe tanto che i ruderi del borgo medievale di notte fossero bui per poterli fotografare. Come vorrei avere qui i muri diroccati della abbazie inglesi da fotografare in queste notti terse!
Alcune coppie di innamorati vengono a godersi la luce, anche se magari nemmeno sanno chi è Adams. Chissà se la mia figura buia che, dopo aver armeggiato sulla riva, si allontana frettolosa li meraviglia, li incuriosisce o li turba. Che diavolo va uno a fotografare di notte, quando non si vede niente?
26 gennaio 2014
Ho trovato il posto da cui fotografare le cannucce di palude (l'erba acquatica con i pennacchi), quando il sole le attraversa e le rende traslucide. Ora mi serve una sera invernale tersa e senza vento. Oggi l'aria era limpida ma soffiava un po' di tramontana.
Il lago ha molti punti di accesso alla riva che sono nascosti al passante distratto, ma si svelano solo se non si ha paura di infrascarsi un po'.
25 gennaio 2014
Una sera tersa.
15 gennaio 2014
Vista dal col Buchet, nei pressi del Moncuni
12 novembre 2013
Anche stavolta la luna piena sarà coperta dalle nuvole. Qualche giorno prima, tento di godermi un pomeriggio limpido per una passeggiata. Non fa neppure freddo.
25 giugno 2013
La fine settimana di luna piena, solstiziale per di più, è coinciso col passaggio di un fronte. Amen.
Tento di sfruttare le ore che sono mattina solo in questa stagione. La luna gibbosa ancora illumina il tronco e il sasso mentre già il cielo del nord si rischiara per la prima luce del giorno.
Al ritorno trovo sulla strada un tasso investito. Sigh.
23 maggio 2013
La prima giornata di sole caldo, dopo una primavera più piovosa del solito. Le uova di zanzara tigre si sono schiuse tutte assieme. La spiaggetta è affollata di gente che prende il sole e fa il picnic, ma al solito basta spostarsi dove non arrivano le auto e si ritrova la tranquillità.
Mi colpisce questa scena che bene trasmette la sensazione della luce ritrovata.
1 maggio 2013
L'amata bruma, col verde sfavillante della primavera
28 aprile 2013
Un giro per provare il filtro a infrarossi.
2 aprile 2013
Le previsioni sono di un crepuscolo velato, il migliore. Non posso lasciarmi sfuggire l'occasione. Provo esposizioni più lunghe possibili, perché il crepuscolo merita un'atmosfera sospesa. Alla fine ne scelgo una di tre minuti, l'ultima prima che si accendano troppe luci artificiali.
Quando mi allontano è ormai buio e mi rendo conto di essermi dimenticato la pila. Districarmi tra il fango formato dalle abbondanti piogge del mese scorso richiede un po' di immaginazione. Attraversando il rumoroso ponte di ferro faccio prendere un coccolone a due innamorati che si sono appartati sulle rive del lago. Li saluto e salgo al parcheggio.
π day 2013
Aspettavo questo giorno da un bel po'. Una sera di vento, in cui fare lunghe esposizioni all'acqua increspata. Ho anche la fortuna di trovarla una sera in cui il bar è aperto, così da potermi riparare in attesa che arrivi il crepuscolo e la luce cali quanto basta.
Poi tutto quello che serve è un tele, per isolare i soggetti a riva, ma non troppo lungo, per includere una porzione maggiore di acqua e darle più trama.
3 marzo 2013
Con una pila di filtri grigi l'esposizione di dilata e nasconde germani e folgahe. Il lago acquista un'atmosfera sospesa in attesa della notte.
18 novembre 2012
Sono tornate le brume autunnali: il lago è come piace a me.
Una domenica mattina vado a farci due passi, avvolto in spessi strati per resistere un paio d'ore all'umidità fredda e penetrante. A un'estremità della spiaggetta un pescatore si ripara nella sua tenda, mentre i pesci ignorano l'esca; all'altra un fotografo con Can(n)on(e) bianco riprende i germani e le folaghe. Per non disturbarli giro al largo.
Gli alberi hanno ormai quasi perso tutte le foglie, che cominciano a macerare a terra.
Percorrendo le rive, mi accorgo che tutto è inesorabilmente mutato: non riconosco più le cale in cui avevo scattato le foto lo scorso inverno. La natura è un sistema dinamico, in cui gli elementi fisici e biotici mutano e si rinnovano: le rive si sono spostate, i canneti sono cresciuti, alcuni alberi sono caduti e altri sono stati inghiotti dalle placide ma attive acque. Trovo diversi pescatori a riva: dev'essere in corso una gara. Il cane di uno di loro mi corre incontro, mi fa le feste e mi annusa, sordo ai vani richiami del padrone.
Purtroppo la vista migliore è verso la spiaggetta, che però è sempre nascosta. Il sole velato genera una luce autunnale, ma non scalda. Provo a percorrere il sentiero collinare. Si attraversano boschi con maestosi esemplari di farnia, galleggiando su un tappeto di foglie morte. Oltre il rio Giacomino, secondo torrente scorre in piano tra dossi gialli e arancioni. Sulle quiete acque si riflette un intrico di rami, tra cui si fa strada un livido sole che non riesce a fare ombra.
Vado al bar della spiaggetta a prendere qualcosa di caldo. Un giudice della gara sta gustando un cappuccino con occhio fisso sulla sua postazione, controllando che non arrivi un partecipante mentre è in pausa. Vede la mia piccola borsa fotografica a tracolla, una roba minima, macchina e fisso, che si può scambiare per una bridge. «Quel tizio col cannone che costerà 5000 € lo vedo qui da tre giorni che fotografa le papere, ormai conosce tutte per nome».
4 febbraio 2012: il gelo
Subito dopo la neve è arrivata un'ondata di freddo, come non si vedeva da trent'anni. Così tutto è rimasto fissato a lungo nell'istante in cui la neve ha ricoperto i posti che conosco. Ritrovo il lago quasi come l'ho lasciato una settimana fa, perfetto per rifare un giro.
Il lago è gelato e alla spiaggetta molti bimbi vi corrono sopra, come in un quadro di Bruegel il Vecchio. Faccio il solito giro del lago, dove invece non incontro quasi nessuno, solo tracce, anche di sci e ciaspole.
Quasi al termine del giro, passo per quel tratto al margine della strada da cui la vista sul lago non è chiusa dagli alberi. Il sole sta lottando con le velature per offrire un tramonto. I colori sono appena accennati in una scena di sottili variazioni di grigi medi. Decido di fotografare. Mentre monto il cavalletto, passa uno sciatore accompagnato da una bella cagnetta, che comincia ad annusare la mia attrezzatura.
«È arrivato proprio nel momento magico», commenta.
Chissà se imparerò mai a riprodurre questi momenti nelle foto.
29 gennaio 2012: nevica!
Era da novembre che non si vedeva una precipitazione vera, al massimo due gocce. Dicembre e gennaio miti e secchi. Poi, finalmente, il primo passaggio dell'inverno.
Così ho avvolto la fotocamera in un sacchetto da frigo, alternativa economica a una fotocamera tropicalizzata. Ci ho montato una focale amata senza elettronica, che non dovrebbe patire troppo l'umidità. Ho puntato la sveglia anche se era domenica e di buon mattino sono venuto al solito posto.
Andi di QTP lo dice molto meglio me: «Alcune nevicate hanno un lato caratteristico unico: il silenzio, mentre il mondo dei colori che abitualmente conosciamo viene inghiottito in un bianco uniforme, dove a stento spunta qualche nero. La neve nei fenomeni diffrattori dei suoi cristalli, confonde i raggi luminosi e ci trasporta in un'altra dimensione percettiva».
È esattamente per questo che starei sempre fuori casa quando nevica, così come quando c'è nebbia fitta. Che per fortuna sono eventi abbastanza sporadici dalle mie parti, così da farmeli sentire speciali.
Perché la neve non si distribuisce uniformemente ma si addensa in grumi?
26 novembre 2011
Oggi giornata poco ispirata. Nonostante la bella alba, con magnifiche tonalità viola, non riesco a realizzare nessuno scatto decente. Provo con i colori dell'aurora riflessi, i dettagli a pelo d'acqua, le lunghe esposizioni, ma niente. La nebbia non mi è amica, troppo tenue per ricavarci qualcosa.
Casualmente noto gli alberi dietro la spiaggetta, inondati dalla luce del sole appena sorto dietro. Il bosco è anonimo, ma la luce accecante fa dei tronchi in controluce presenze eteree, quasi ultraterrene.
17 novembre 2011
Le condizioni meteorologiche non mutano, così mi concedo volentieri, a breve distanza di tempo, un'altra levata nel buio della notte per venire alla spiaggetta. Cercherò di cogliere la nebbia mattutina, ma stavolta dal di dentro.
Non so se sia la diversa prospettiva, ma oggi l'effetto mi sembra molto più mogio: dall'alto gli addensamenti della nebbia sembravano grandi, ma visti da qui si dissolvono poco sopra la superficie. Dovrò usare un tele lungo per avvolgere i miei scatti con la nebbia.
Dapprima provo uno scatto che avevo già fatto in primavera, con gli stessi soggetti e la stessa luce, ma un'atmosfera decisamente autunnale.
Poi mi lancio sulla nebbia. Non è una coltre uniforme e impenetrabile, è sottile, modesta, incerta. Come il fiato condensato, è densa al contatto con la sorgente e svanisce non appena si allontana.
Poi provo ad andare in un prato brinato nei pressi del lago. Fa freddissimo, le mani guantate a malapena resistono al gelo. Fili d'erba sono interamente rivestiti di cristalli di ghiaccio. Mi attira in particolare un fiore completamente rivestito di aghi sottili: ingannato da un clima ancora mite, aspettava che le ultime farfalle venissero a succhiare il suo polline. Invece si è trovato completamente gelato in questa mattina umida e fredda. Lo riprendo nella tenera luce del mattino.
15 novembre 2011
Dopo un'estate trascorsa a fotografare sui monti1,2, un'amica mi chiede di provare a scattare qualche foto insieme. Combiniamo per una mattina limpida al colle d'Ancoccia, nei pressi della Sacra di San Michele, da cui si ha anche una bella vista sui laghi di Avigliana.
Prima del sorgere del sole, si ha la classica vista della pianura ancora immersa nell'oscurità e illuminata dalle luci artificiali. I due laghi emergono come due specchi di luce viola riflessa dal cielo dell'est, che come un arcobaleno sfuma da un sottile rosso all'orizzonte fino a un blu molto carico. Un cliché che conserva immutata la sua attrattiva, nonostante sia stato visto mille volte, dal vivo e in cartolina.
Dopo il breve momento del sorgere del sole, in cui mi concentro sulla Sacra magenta, torno a osservare l'evoluzione della luce sui laghi. Il sole si solleva e riesce a penetrare fin sul fondo della conca. Il calore dei raggi fa evaporare l'acqua del lago. L'aria intorno è però fredda e satura d'umidità, come ho imparato a mie spese, così il vapore condensa subito in nebbiolina. Come uno strato di fiocchi di cotone dorati, ricopre il lago piccolo.
9 aprile 2011
Le previsioni meteo danno venti deboli da nord, che dovrebbero significare aria tersa. Inoltre a casa mia è arrivata la primavera, gli alberi sono fioriti e spuntano le prime foglie, perciò spero che le sponde siano un piacevole patchwork di colori.
Oggi è il mio compleanno e lo festeggio così svegliandomi alle 5.20. Quando arrivo al parcheggio, mi imbatto nell'insolita presenza di alcune auto. Una è di una coppia di fotografi, che mi hanno preceduto e sono sulla spiaggetta intenti a fotografare. Scendo e li scruto mentre sono indaffarati col cavalletto. Uno dei due mi percepisce e si volta verso di me, salutandomi con un sorpreso e imbarazzato 'Buongiorno', l'unica parola che intercorrerà tra noi in oltre un'ora di incroci. Per fortuna sono lontani dal punto in cui voglio scattare la prima foto, cosicché non dovremmo intralciarci.
L'aria è davvero molto nitida e noto con piacere che, come speravo, è arrivata la primavera: nella zona della prima foto gli alberi formano una trama di verdi, turchese e violetto. Il lago è increspato e temo di non poter scattare foto di riflessi, ma per fortuna le brezze sono irregolari e lasciano spazio a momenti di quiete. Per prima cosa, però, vado all'albero sommerso per capire se si può riprendere la scena. L'acqua è arretrata parecchio rispetto alla piena, non dovrei avere problemi ad avvicinarmi al tronco; lo sfondo è vario e gradevole. Torno al punto prestabilito e armeggio col cavalletto per ottenere l'inquadratura desiderata. Imposto l'anello dell'apertura sul valore di massima nitidezza, il fuoco a infinito per ottenere il massimo dettaglio sugli alberi in fiore; a casa scoprirò di avere fatto male i conti, perché le pietre in primo piano sono leggermente sfocate, avrei dovuto chiudere di uno-due stop in più. Inizia quindi la lunga attesa della luce, mezz'ora buona. Nel frattempo i due fotografi mi girano intorno e scattano. Vengono anche vicino a me, sembra quasi che desiderino il mio posto, ma muto e immoto resisto. La luce infine arriva, aspetto un minuto che il rosso delle montagne si faccia più intenso e poi scatto. Aspetto un altro po' e ripeto l'operazione per trovare il momento con la luce migliore. Peccato che ho sbagliato la messa a fuoco.
Abbandono il posto e cambio obiettivo per riprendere tutta la corona di montagne verso la val Sangone. Voglio che risaltino contro il vuoto del lago, ma che non siano troppo piccole. Armeggio un po' con lo zoom prima di trovare la focale che esprima il concetto. Metto in primo piano le ultime vestigia di un albero e col polarizzatore mostro un po' di fondale per non creare una zona troppo grande senza punti fermi.
Ora ritorno all'albero sommerso. C'è una folaga che gironzola dietro il canneto e perturba il riflesso, ma tutto il resto è perfetto. Scelgo l'angolo giusto per inquadrare la parte di sfondo che mi interessa, imposto la focale che ormai so valutare senza guardare nel mirino, sistemo alcuni dettagli, l'esposizione e scatto. Riguardo la foto. Ma porca p!°@$! Non avevo visto il solito ramo che spuntava a sinistra. E dire che mi aveva già fregato la prima volta. Sono proprio un avventato. Se scattassi con la pellicola butterei l'80% delle foto che mi sembravano buone al momento dello scatto, non solo quelle che scatto per il gusto di sperimentare nuove soluzioni. Devo essere più lento e riflessivo. Mi riposiziono e ripeto lo scatto.
Decido di provare a scattare dove avevo visto uno dei due fotografi. Raggiungo il posto. Mah, potrei riprendere un piccolo canneto contro il riflesso giallo dei monti. Devo abbassare il cavalletto. Schiaccio la gamba a terra per accorciarla. Crac! Oh, cavolo, che è successo? Abbasso lo sguardo e vedo un pezzo di gamba penzolare. Rotta. Prendo il cavalletto con la gamba penzolante e vado a cercare un ripiano, dove riesco a rinfilarla al suo posto. Non potrò più allungare quella sezione, ma il treppiede continuerà a funzionare. Forse è un segno divino che mi dice che è ora di comprarne uno vero. D'altronde, sarei stato comunque costretto lo stesso prima acquistare un macro o un tele lungo. Perlomeno questa versione è più consolante che concludere che ho modi da elefante.
30 marzo 2011: tramonto
Il pomeriggio è limpido e cumulonembi imponenti sovrastano le Alpi. Un soggetto perfetto per un tramonto. Decido così di fare una puntata al lago.
Verso sera la spiaggetta è affollata e rumorosa, affatto diversa da come l'avevo trovata nelle mattine precedenti. Diversi nonni coi nipotini che lanciano pane ai germani, ma soprattutto il bar aperto che pompa musica ad alto volume. Ci sono anche due colleghi, due fotografi che tentano di riprendere gli uccelli acquatici. Si riconoscono dai cla-cla-cla-clac della raffica. Niente professionisti, però: dagli zoom tele economici e dal loro andare in giro all'inseguimento anziché stare appostati e mimetizzati riconosco che sono dilettanti come me.
Gli imponenti cumulonembi del pomeriggio si vanno dissolvendo in modesti cumuli. Prima del tramonto saranno evaporati del tutto. Niente immagini con spumeggianti torri rosse e blu. Delusione.
Visto che sono qui, non osservo la regola aurea di stare molto fuori ma fotografare poco. Decido invece di provare a portare a casa qualche scatto, ma senza successo. Vado alla ricerca di un posto dove non mi intralcio con gli altri e del solito primo piano da aggregare al sole del tramonto, ma non riesco a combinare nulla.
26 marzo 2011: alba brumosa
Faccio un secondo tentativo con l'alba. Oggi è sereno, ma sul lago aleggia una nebbiolina bassa e densa. Viste le previsioni delle minime, faccio a meno di portarmi vestiti pesanti, ma c'è un'umidità che penetra fin nelle midolla e mi tocca soffrire.
A causa delle condizioni, alla fine le foto migliori sono quelle senza colori, in bianco e nero, nella luce diffusa dell'alba. Una quiete invernale.
Il primo sole rosso riesce a raggiungere le cime della Val Sangone, ma qui filtra sole una tenue luce rosata. Il resto del paesaggio, privo di dettagli, è immerso nell'uniforme blu del mattino. Riesco a riprendere un germano impegnato nella toeletta su un sasso.
20 marzo 2011
Dopo parecchi giorni di pioggia, per la mattina si annuncia un'apertura e allora decido di fare un salto al lago, sperando che avvenga al sorgere del sole. Alle 6 sono sul posto, ma di aperture neanche l'ombra. Addirittura qui pioviggina ancora. Quando smette, esco dall'auto e vado sulla riva. Questo è il mese di marzo più piovoso da quando sono iniziati i rilevamenti a Torino, nel Settecento, e gli effetti si vedono: il tronco che era sdraiato a riva ora è quasi sommerso, ne fuoriesce solo qualche lembo, come in un coccodrillo che nuota. Sulla riva si trovano alcuni oggetti riversati nel lago dalla piena degli immissari: foglie morte, rametti, un pezzo di legno. Ed è proprio da quest'ultimo che ricavo la composizione migliore della giornata. Lo metto in primo piano, in basso in una verticale, e poi includo quanto più posso del magnifico cielo postfrontale che sovrasta il lago.
Scopro di adorare l'atmosfera del lago al mattino. Non c'è nessuno, pace assoluta. Ogni tanto passa un'auto sulla strada, ma neanche me ne accorgo da quanto sono assorto a contemplare lo spettacolo e a fotografare.
20 febbraio 2011
Oggi è una giornata brumosa. Faccio una breve escursione per trovare un anello per la Sacra di San Michele e con l'intenzione, al ritorno, di fare il periplo del lago piccolo di Avigliana, quello selvaggio. Nonostante abiti poco lontano da qui e sia passato decine di volte in bici lungo queste strade, non mi sono mai fermato a percorrere tutto il giro a piedi.
Lascio l'auto al parcheggio della spiaggetta e mi incammino. Nelle giornate assolate questo posto è affollato di gente che viene a fare il picnic. Invece in una brumosa domenica invernale è un oasi di solitudine: solo un paio di famiglie coi bimbi che danno da mangiare a folaghe e germani, qualcuno che porta a spasso il cane, una coppietta, un gruppo di escursionisti a cavallo. L'idea è vedere com'è il posto per tornarci in condizioni meteo fotogeniche (albe, tramonti, nebbia, etc) con intenzioni bellicose, sapendo già più o meno cosa aspettarmi. Speravo che si vedessero le Alpi per farmi un'idea dei riflessi che si possono avere, ma è più caliginoso del previsto, per cui devo rimandare. La spiaggetta sembra stimolante, ha un sacco di soggetti a riva, come questo tronco.
O quest'altro.
Inizio il giro. Il sentiero rimane a una certa distanza dalla riva, ma delle tracce la raggiungono. Poco dopo la partenza, in un canneto lo scheletro di un albero è piantato in acqua a pochi metri dalla riva, segno che anni fa il livello doveva essere più basso. A seguito del boom, molte falde della pianura padana erano scese per via dello sfruttamento industriale, per poi risalire con la terziarizzazione dell'economia; magari il lago ha seguito le stesse vicissitudini. Oltre il canneto gli alberi si spingono fin sulla riva e lasciano poco spazio per fotografare. Inoltre qui lo sfondo è meno interessante, perché non ci sono più le Alpi ma solo una collina. Provo qualche scatto, senza troppo successo. Il lago si trova in una conca glaciale ed è circondato da alture su tutti i lati, per metà le Alpi e per metà i depositi glaciali. Le Alpi sono ad ovest, perciò il momento migliore per fotografarle è l'aurora.
Il sentiero continua in questo modo nel bosco, che non è un granché, per poi andare verso l'interno. Si attraversa un piccolo immissario. In questa zona, sulla riva c'è un grande albero dove vengono a svernare dei cormorani. Esco dal tracciato e attraverso un prato per vederli. Uno di loro se ne sta lì, appollaiato su un ramo, a guardarmi curioso. Torno indietro e passo nei pressi di un capanno di osservazione, per la verità abbastanza lontano da riva. Quindi si passa in un'ampia zona dove la riva è proprietà privata e bisogna starne lontani. Si sbuca quindi sulla strada che costeggia il lago, ormai in vista della spiaggetta. Si cammina in alto, a parecchi metri dalla riva, che qui è occupata da canneti. Mi piace il contrasto tra l'arancio delle canne e il bluastro della bruma.
Costruisco un'immagine quieta di linee orizzontali.
Ritorno alla spiaggetta. È quasi sera e decido di provare qualche lunga esposizione, per vedere l'effetto che fa sui riflessi il movimento delle onde. Dato che il lago è placido, me le creo io. Aspetto che sia sufficientemente buio, torno all'albero sommerso, piazzo il cavalletto e compongo, imposto l'autoscatto e poi vado a creare le onde con un piede. Alla fine l'effetto non è un granché, mi aspettavo qualcosa di meglio, un bordo più sfumato del riflesso. A parte questo, la composizione è da buttare; la dominante blu del crepuscolo è l'unica cosa buona dello scatto.